Quartieri poveri che restano sempre più poveri.
Una polizia che con i modi duri cerca di tenerli in riga, pur sapendo che lì si spaccia, lì ci si prostituisce, lì valgono mazzette.
Il rispetto lo si ottiene a suon di minacce e di violenza.
Di soprusi accettati sia dall'alto comando della polizia, sia da chi la città la gestisce.
Finché tutto esplode.
Tutto cambia.
Un leone viene rubato da un circo.
Il colpevole viene trovato.
Ma scappa.
E dopo una lunga corsa viene arrestato, provocando la ribellione dei suoi amici.
Uno sparo parte.
E colpisce quel colpevole, in manette.
Suona familiare?
Non siamo però in America, siamo alle porte di Parigi, a Montfermeil dove Victor Hugo ha ambientato i suoi Miserabili.
Siamo, in quelle periferie fatte di palazzoni di cemento, di un degrado a cui non si pone rimedio.
Il colpevole del caso, la vittima, è un bambino.
Tutto cambia, si diceva, e tutto rischia di cambiare ancor più perché quello sparo è stato ripreso da un drone.
L'obiettivo ora non è cercare di salvare quella vittima correndo in ospedale, ma trovare chi quel drone lo fa volare.
Si innescano così un'altra lunga corsa, altri inseguimenti, altri possibili risvolti drammatici, con le tre forze che governano Montfermeil a scontrarsi.
Tutto questo racconto passa dallo sguardo di un cosiddetto poliziotto buono, al suo primo giorno di lavoro, che deve scontrarsi con un ambiente che non conosce e con dei colleghi dai modi poco ortodossi, per usare un eufemismo.
Anzi, non usiamolo: dei poliziotti che sono dei gran bastardi.
I suoi tentativi di mediare, di fare la cosa giusta, devono fare i conti però con una realtà in cui cambiare le cose è difficile.
Stretti in quell'auto, in un'escalation di urla e di follia, in uno stallo momentaneo teso, la regia dell'esordiente Ladj Ly si muove in luoghi che sembra conoscere bene.
Li fotografa in tutta la loro potenza.
L'aiuto dei droni, funzionali al racconto, regala la tragica poesia che certi luoghi di cemento rappresentano.
Ma è il ritmo che fa la differenza, serrato, quasi claustrofobico.
Con la paura che il peggio debba ancora arrivare.
Nel temere per ogni vita, per ogni piccolo in azione.
Perché sono bambini i nemici che la polizia deve scovare, arrestare, combattere.
Ripeto: bambini.
Con genitori che ci provano a farli rigare dritto.
Ma quello che succede là fuori, in strada, in parchi di cemento, è fuori anche dal loro controllo.
In balia di una società, di un sistema, che sembra aver già deciso cosa sono, quei bambini lo diventano.
E proprio qui, quando il peggio sembra finito (che è stato davvero il peggio che adulti teoricamente responsabili potessero mostrare nei loro confronti), arriva il secondo giorno di lavoro per Ruiz che non andrà meglio.
I quindici minuti finali del film, dove scorci delle viste private di tutti questi protagonisti hanno fatto nuova luce su di loro, sono ancora più tesi.
Le carte cambiano.
Ed esplodono quelle rivolte che non possono non nascere spontanee se non si è ascoltati, se non si è tutelati.
Suona familiare?
Non si respira, allora, chiusi in androni, in mezzo al fumo, con le urla sempre più selvagge e paradossalmente sempre più giuste.
A fare da contrasto a quell'inizio che vedeva una nazione unita sotto il tricolore francese, sotto la Tour Eiffel così distante da Montfermeil, negli Champs-Élysées a festeggiare i suoi eroi calcistici.
Sospesi.
Si resta così.
E arrivano le parole di Victor Hugo che contengono tutta la verità possibile.
I miserabili a cui non badiamo, di cui non ci interessiamo, che solo ogni tanto fanno notizia sui giornali, ora sono quelli che chiedono di essere ascoltati, e usano ogni mezzo a loro disposizione per farlo.
"Non esistono erbe cattive,
né uomini cattivi.
Esistono solo cattivi coltivatori."
Suona familiare?