I mille volti del terrore è una compilazione a cura di Gerald W. Page che raccoglie alcuni di quelli che dovrebbero essere stati i migliori racconti a tema horror pubblicati su riviste varie nel 1978 (o poco prima). Come in tutte le antologie la qualità degli scritti proposti risulta inevitabilmente altalenante così come anche la definizione di racconto horror va presa con le molle, gli sconfinamenti e le commistioni con altri generi letterari non mancano, fermo restando quella base di brivido che la tematica affrontata richiede. Siamo di fronte a una serie di opere tutte più o meno brevi concepite dai rispettivi autori sul finire degli anni 70, alcune narrazioni risentono del passare del tempo restituendo al lettore quella sensazione di polveroso non necessariamente spiacevole, altre invece hanno una freschezza ancora invidiabile, una su tutte il racconto I figli del grano di Stephen King, autore di punta di questa antologia e di tutto il genere horror moderno il cui nome campeggia al centro della copertina del libro. A questo punto mi tocca ammettere la mia ignoranza e la mia scarsa dimestichezza col genere in quanto i nomi degli altri autori coinvolti nel progetto sono a me per lo più ignoti.
Vediamo con una rapida carrellata cosa contiene questo libro. Si parte con il racconto In fondo al giardino (At the bottom of the garden, 1976) di David Compton nel quale, in uno scenario familiare e domestico, la figlia della distratta signora Williams gioca con la sua amichetta nel giardino di casa. La bimba poi racconta delle cose ai suoi genitori che però non la ascoltano con la dovuta attenzione, le strane fantasie della bimba risulteranno invece avere ben più d'un fondamento. Un buon inizio, breve ma inquieto al punto giusto, l'attacco dell'antologia lascia ben sperare.
Meno interessante l'incontro tra il protagonista della seconda storia, Urlando per uscire (Screaming to get out, 1977), con una poco attraente cameriera di un drive-in, incontro che terminerà con una sorpresa inaspettata. Anche qui pochissime pagine a opera di Janet Fox che oggi però sanno molto di già visto (c'è da dire anche che io arrivo alla lettura di questo libro con un ritardo di circa quarant'anni). Segue il primo racconto un po' più corposo, Kane il maledetto (Undertow, 1978) che purtroppo sconfina nel fantasy, genere che non amo particolarmente. La costruzione del racconto non è male, non nelle mie corde ma agli appassionati potrebbe piacere, inoltre sia il protagonista Kane, sia l'autore Karl Edward Wagner sembrano godere di ottimo credito tra i fan del fantasy a la Conan il barbaro.
Io sento il buio (I can hear the dark, 1978) di Dennis Etchison richiede un minimo di concentrazione in più rispetto al solito nonostante la durata molto breve ma in fin dei conti si rivela un episodio tutto sommato trascurabile, non così è per La custode (Ever the faith endures, 1978), ottimo racconto molto vicino per atmosfere agli scritti di Lovecraft e al terrore suscitato da presenze mostruose come I Grandi antichi, l'autore Manly Wade Wellman è un prolifico ed eclettico scrittore che ha spaziato in carriera tra numerosi generi sfiorando anche il Pulitzer con uno dei suoi romanzi storici.
Non male I signori dei cavalli (The horse lords, 1977) di Lisa Tuttle che presenta più di un punto di contatto con il ben più famoso Pet sematary (comunque successivo) di King. Con Bianco inverno (Winter white, 1978) di Tanith Lee si torna alle contaminazioni storico/heroic fantasy e il mio interesse torna a calare, anche qui però il racconto non è affatto malvagio. Dal sapore antico, ottocentesco, Una ragnatela di vene pulsanti (A cobweb of pulsing veins, 1977) che vede per protagonista un profanatore di tombe su commissione che accidentalmente recupera una bara che avrebbe dovuto lasciare al suo posto, ottimo stile e ottime atmosfere a opera di William Scott Home. Di scarso interesse anche Un colpo di fortuna (Hollow face, merciless moon, best of luck, 1978) di David Drake ambientato in uno scenario di guerra; finalmente arriva I figli del grano (Children of the corn, 1977) di Stephen King. L'autore di Bangor (ma nato a Portland) dimostra qui in maniera indiretta come la sua fama sia del tutto meritata, il suo racconto ha un altro passo rispetto ai contenuti presenti nel resto del libro, la scrittura di King sembra arrivare da un secolo più moderno, più vivo e vivido, a distanza di quarant'anni il racconto non perde una stilla di freschezza.
Torna il tema dell'adolescenza qui protagonista in una comunità ormai morta e composta di soli ragazzini, una comunità che si rivelerà parecchio pericolosa per i viaggiatori Burt e Vicky. Forse grazie all'impulso dello scrittore del Maine il resto del libro sembra avere un piglio più moderno, Se arriva Damon (If Damon comes, 1978) porta in scena uno di quei bambini inquietanti che tante volte abbiamo avuto modo di vedere al Cinema, racconto di Charles L. Grant; de L'adescamento (Drawing in, 1978) di Ramsey Campbell ho già smarrito il ricordo, cattivo segno; parecchio interessante invece il dittico finale. Ricordo di un amore (Within the fall of Tyre, 1978) di Michael Bishop non presenta grandi sfumature horror ma si rivela uno dei racconti più interessanti dell'intero lotto e gode di un finale inusuale, quasi grottesco, che lascia da pensare e allo stesso tempo strappa un sorriso; bella storia di fantasmi invece la finale La lunga, lunga strada (There's a long, long trail a winding, 1977) di Russell Kirk, ottima chiusura di un libro che finisce in crescendo.
Tutto sommato I mille volti del terrore offre un buon intrattenimento, poco uniforme (può essere un bene come un male, a seconda dei gusti) ma con alcuni picchi di sicuro interesse, non c'è forse tutto quell'orrore che si vorrebbe lasciar intendere ma la lettura risulta piacevole anche se a volte ristagna nell'aria un odore di cose antiche. Magari sono cose antiche che stanno per venire a prendervi, e allora tutto si spiegherebbe!