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THE BOOKSTORECARTA CANTA
I Mastini Di Dallas
Peter Gent
1973  (66th and 2nd)
LIBRI E ALTRE STORIE
7,5/10
all THE BOOKSTORE
04/09/2017
Peter Gent
I Mastini Di Dallas
Da un lato la coralità degli eccessi e del cinismo, dall’altro il soliloquio di un atleta atipico, inserito negli ingranaggi distorti del sistema, eppure consapevole della realtà e del proprio destino, capace ancora di uno scarto critico, di compredere la sottile linea di confine fra bene e male

Ogni mattina Phil Elliot si sveglia con le narici piene di sangue e le giunture bloccate dall’artrite. Phil ha le «migliori mani di tutta la Nfl», il corpo devastato dai placcaggi e il problema di riprendersi il posto da titolare nell’attacco dei North Dallas Bulls. Pur di giocare è disposto a convivere con «paura e dolore», a imbottirsi di analgesici e fabbricarsi protezioni artigianali, più sottili della norma, in modo da recuperare la velocità che ha perso per via degli infortuni. Dopotutto il football è la sua vita. Ma il «vero divertimento» va in scena nell’attesa tra una partita e l’altra, con le groupie e i parassiti che circondano il club, le rivalità tra i giocatori, il braccio di ferro con i dirigenti, i postumi di un matrimonio fallito, le dosi di speed e mescalina per tirare avanti: un vortice di autodistruzione da cui Phil sembra poter fuggire solo grazie a Charlotte, una vedova di guerra incontrata per caso in uno dei deliranti festini della squadra.Attraversato dalle canzoni di Bob Dylan e dei Rolling Stones e dal soffio libertario della controcultura, I mastini di Dallas racconta l’altra faccia dello sport, mettendo a nudo le logiche del business milionario dietro le carriere degli atleti. Nel mondo del football Gent proietta con effetti grotteschi – come fa DeLillo in End Zone – le paranoie e le distorsioni di quel «complesso tecnomilitare» che era l’America ai tempi del Vietnam.

 

C’è un termine che ricorre con una continuità inquietante nelle pagine di questo romanzo : paura. Paura del dolore, paura di perdere tutto, paura di non essere all’altezzza, paura che la notorietà e il successo svaniscano, paura dei tifosi, paura di sè stessi, del proprio cinismo e indifferenza, paura dei compagni, dell’allenatore, paura di essere solo un ingranaggio senza identità in quella macchina da guerra letale che è una squadra di football. Da partita a partita, otto giorni in cui Phil Elliot, flanker dei Dallas Cowboys, racconta al lettore, in prima persona e senza fare sconti, le proprie paure di giocatore ed essere umano. Un terrore così radicato e invasivo che per combatterlo è lecito tutto : l’abuso di droghe e di medicinali, sbornie colossali, sesso d’accatto e tradimenti di ogni sorta. Il viaggio di Gent attraverso il mondo del football è tanto allucinato da lasciare il lettore senza fiato. Perché anche se siamo abituati a ipotizzare eccessi e bella vita legati agli ambiti sportivi che ci sono noti, I Mastini Di Dallas apre il sipario su una passata realtà (il romanzo si svolge alla fine degli anni ‘60) che nemmeno il più cinico di noi riuscirebbe a immaginare. I giocatori rappresentati dalla prosa cruda ed efficace di Gent sono gladiatori senz’anima che si muovono in un contesto deprivato da ogni forma d’etica che non abbia connotati paramilitari (giocare a football e combattere in Vietnam sono i due rovesci della stessa medaglia). Guerrieri che confondono la vita reale con il campo di battaglia, devastatori lanzichenecchi, stupratori seriali, tossici all’ultimo stadio, bestie da soma sfruttate da allenatori e dirigenti che non conoscono umanità e vivono di statistiche e filmati: questi sono i protagonisti di una settimana in cui lo sport è solo una punizione da scontare e l’abuso, di ogni tipo, è l’unica vera salvezza. Eppure, in un contesto tanto sordido, Gent riesce comunque a ricreare, attraverso le proprie malinconiche riflessioni, l’epica del football americano. Da un lato la coralità degli eccessi e del cinismo, dall’altro il soliloquio di un atleta atipico, inserito negli ingranaggi distorti del sistema, eppure consapevole della realtà e del proprio destino, capace ancora di uno scarto critico, di compredere la sottile linea di confine fra bene e male. In un mondo ipocrita, che in nome di Dio e del dio denaro, chiude gli occhi e accetta le peggiori turpitudini, Elliot ha ancora la forza per imboccare la via della salvezza. Ed è proprio questo suo percorso di crescita a condannarlo. A nulla valgono le sue indubbie doti di giocatore a mantenerlo all’interno del sistema, né pesano gli eccessi folli, peraltro condivisi coi propri compagni, a decretarne l’espulsione. Elliot viene messo fuori gioco, in un finale crudele e inaspettato, dalla sua incapacità a irregimentarsi, dalla sua propensione a scegliere l’individualismo critico rispetto alla stolida abnegazione verso regole che trasformano la passione sportiva in logica del business. In definitiva, per Gent lo sport diventa una sorta di metafora necessaria a rappresentare un periodo controverso della storia americana e lo scontro fra due culture agli antipodi: quella conservatrice, reazionaria e militarista connotata da un Texas retrogrado e violento, e quella nascente, hippie e libertaria, che risuona nelle canzoni di Dylan e nella testa di Elliot. Crudo, grottesco e sempre al limite, il romanzo di Gent è imprescindibile non solo per chi ama lo sport, ma anche per tutti coloro che vogliono gettare uno sguardo, cinico ma decisivo, su un’epoca di grandi cambiamenti che condurrà l’America e il mondo verso una nuova direzione.

 

Il libro di Gent fu pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1973. Solo nel 2013, a quarant’anni di distanza, viene edito anche in Italia.

Nel 1979, ne venne fatto un film per la regia di di Ted Kotchef, con Nick Nolte nei panni di Phil Elliot.