Due papi, si diceva, ed è un evento epocale che meritava di finire sotto i riflettori.
Stranamente, non si aspetta che uno dei due non ci sia più, però.
Lo si fa ora, ora che entrambi vivono nel Vaticano, ora che il papato del subentrato Francesco non appare più così volitivo, così rivoluzionario, come si credeva all'inizio.
Ma partiamo dall'inizio, partiamo dalla morte di Papa Giovanni Paolo II e dal concilio di vescovi.
Che diventa una sfida a due, che diventa un modo per la Chiesa di schierarsi: la tradizione rappresentata da Ratzinger da una parte, la modernità rappresentata da Bergoglio dall'altra.
Due uomini che sono due idee.
Due uomini che sono due mondi.
Due uomini così distanti, non solo geograficamente, che si ritrovano dopo otto anni a discutere, confrontarsi.
Lo fanno perché senza saperlo entrambi vogliono lasciare. Vogliono gettare la spugna.
Lo fanno sapendo che uno raccoglierà la sfida lasciata sospesa dall'altro.
E allora parlano, condividono cene, suonate al pianoforte, pizze.
Parlano, e si ascoltano, si giudicano, ma prima di tutto cercano di capirsi.
Di capire gli errori e il percorso di tali errori, di capire le ragioni, l'invidia, il velato disprezzo che provano l'uno verso l'altro.
Come se fossero in un campo da calcio, come se stessero ballando un tango.
E allora il cattivo smussa i suoi angoli e mostra la sua umanità, il buono mostre le sue ombre.
Da un film così dichiaratamente di idee, da un film che di Chiesa e dei suoi uomini e dei suoi intrighi parla, ti aspetti una certa noia.
Una certa seriosità.
Per fortuna la sceneggiatura di Anthony McCarten evita tutto questo, conferendo un certo ritmo, una certa leggerezza nel confronto fra queste due menti.
Aiutano due attori che si calano perfettamente nel ruolo, due fuoriclasse come Anthony Hopkins e Jonathan Pryce le cui candidature sono sacrosante (ahah).
Ma se la sceneggiatura sorprende, fa riflettere, apre spiragli, mescola finzione e realtà, è a sorpresa la regia di Fernando Meirelles a lasciare a desiderare, con riprese al limite del televisivo, ricostruzioni che pur avendo il loro peso storico non ne hanno la patina.
Non sarà volutamente eccessivo come lo Young Pope di Sorrentino, non sarà profondo come l'Habemus Papam di Moretti, ma questa nuova incursione in territorio Vaticano ha dalla sua la capacità di non affaticare, di non annoiare.
Di accendere domande e di trovare risposte.
Anche se in fondo, come sempre, è tutta questione di fede.