Permo, esordio di Spinnig Coin colpì per essere un riuscito meltin’ pot di psych--britpop mischiato ad un’attitudine bonariamente disimpegnata, alla Wave Picture.
Molto diverso, a partire dal legame culturale e geografico di cui sopra, questo Hyacinth a distanza di poco meno di tre anni.
Nonostante in formazione si fosse registrato l’inserimento della bassista canadese Rachel Taylor, la band era sempre stata nella capitale scozzese, fino a quando il paesaggio socio politico della Brexit non costrinse la musicista a lasciare il Regno Unito.
Con lei si trasferì a Berlino il chitarrista e cantante Sean Armstrong, tagliando di fatto il cordone ombelicale con Glasgow.
La registrazione del nuovo album nel Sud della Francia completa una emancipazione di fatto da un passato molto forte e formativo, che si esprime chiaramente con l’abbandono nei testi dell’incisivo commento sociale del loro debutto per una retorica più’ pop.
I brani, cantati per la maggior parte da Armstrong e condizionati molto dal suo falsetto, con l’eccezione di quattro più slacker interpretati da Mellin, sono tutti caratterizzati da chitarre scintillanti ma allo stesso tempo oblique e dalla chiara estrazione indie 90’s.
Unica eccezione “Black Cat” interpretata dalla Taylor, francamente fuori luogo per chi scrive, così legata ad un immaginario troppo marcato tra il blues e il country .
Hyacinth è continuo oscillare di situazioni sospese tra l’incanto e l’insolenza, riverberi, riff immediati ed eleganti, voci raddoppiate, a volte una opulenza che sembra quasi paradossalmente incoscienza.
Quasi due valzer lisergici “Avenue Of Spring” e “Long Heights” separati tra loro da due facce della stessa medaglia Indie, “Feel You More Than World Right Now” e “High”, prima di una perfetta pop song al rallenty come “Despotic Sway” e del primo singolo “Ghosting” che vuole ricordare un po’ troppo Clap Your Hands And Say Yeah.
“Laughing Ways” e “Soul Trader” sono piacevolmente in orbita Pastels, mentre “Never Enough” strappa verso certo indie australiano .
Se “Slips Away” è un piccolo risveglio a tinte psichedeliche , “It’s Allright” apre a certe sonorità psych mischiate a power pop.
“Things Of The Past” non tradisce il proprio nome e chiude il disco con atmosfere seventies .
Vorrei non cadere nel cliché del secondo album che succede ad un ottimo esordio, ma mio malgrado devo.
Rimango curioso di sentirli live.
Quello che rimane è la sensazione di un buon album, ma senza le caratteristiche che lo rendono speciale.