Se Private fu l'esordio che proprio non ti aspetti da un autore italiano, realizzato con pochi mezzi e tanto, tanto coraggio, dieci anni più tardi il regista continua a raccontarci storie per nulla scontate, pur rimanendo tra le mura del domestico, dimensione dalla quale è possibile tirar fuori grandi film (Carnage di Polanski è lì a ricordarcelo) ma con la quale è anche facile prendersi dei rischi.
Scena iniziale (da applausi). Un ristorante cinese, Jude (Adam Driver) e Mina (Alba Rohrwacher, compagna di vita dello stesso Costanzo) rimangono bloccati nel bagno per diverso tempo, situazione imbarazzante, soprattutto per lui, che contro ogni aspettativa si trasformerà in una bella storia d'amore. Con questa prima inquadratura, senza stacchi, Costanzo ancora una volta dimostra una grande sensibilità per gli spazi circoscritti, chiusi, all'interno dei quali si muove con un'eleganza naturale, poco importa che si sia in una casa in territorio di guerra o in un cesso puzzolente di un ristorante di una grande metropoli. La storia si evolve, un rapporto duraturo, un matrimonio, la famiglia, un figlio in arrivo, forse nel momento non proprio giusto, almeno per Mina. La novella madre in qualche modo perde il baricentro, il suo equilibrio vacilla, dopo aver consultato per gioco una specie di veggente la donna si convince che il suo sarà un bambino indaco, un bimbo in qualche modo "speciale". Ma di speciale, e non in senso positivo, ci sarà solo l'amore di una madre che in maniera morbosa e incosciente riversa sul bambino tutta una serie di sue convinzioni e fissazioni che finiranno per rivelarsi deleterie per il figlio: niente medici, niente carne, oli, semi, nessuna esposizione all'esterno e via dicendo. In tutto questo sembra che Jude, marito e padre innamorato, non possa avere voce in capitolo, ma nonostante l'amore per la moglie il dovere genitoriale dell'uomo finirà per prendere il sopravvento.
Quello che ci racconta Costanzo, a prescindere dai discorsi su devianze alimentari e simili, è la costruzione di un nucleo familiare che sbanda con l'arrivo del figlio, un bambino che viene vissuto senza la lucidità e l'amore sano che su un essere così indifeso dovrebbero essere riversate senza artifici e riserve, il rapporto di Mina con il bambino presto diventa esclusivo, totalizzante, così da escludere non solo il marito da una sana vita di coppia ma anche lo stesso e il resto della famiglia dalle scelte riguardanti la crescita del bambino. È un discorso molto delicato e interessante quello del rapporto genitoriale, in questo caso autoriferito, vissuto per appagare bisogni propri più che quelli dei figli che, come recita un ritornello noto, non ci appartengono ma dei quali abbiamo il compito di prenderci cura. Da spazio d'amore la casa si trasforma a poco a poco in un luogo insicuro, minaccioso, terra di tensione, sotterfugio e contrasto, il focolare domestico si raffredda, lo sguardo di Costanzo deforma con una serie di inquadrature sghembe le figure di un padre e di una madre che paiono creature mostruose, aliene, prive delle caratteristiche rassicuranti che per un bambino dovrebbero essere punto fermo e riferimento. In questo la costruzione dei personaggi da parte di Driver, più a suo agio in film come questo che non nelle saghe spaziali, e della Rohrwacher, sono un valore aggiunto imprescindibile per annegare situazioni anomale in un mare di normalità (entrambi migliori interpreti a Venezia).
Un racconto teso, pieno, denso e ancora una volta privato, una riflessione sul deragliamento del quotidiano. Le paure della porta accanto.