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REVIEWSLE RECENSIONI
06/02/2018
Howlin' Sun
Howlin' Sun
Dieci canzoni in scaletta che tirano dritte tra riff sporchi, chitarre ad alzo zero e ispide aperture psichedeliche, sigillando un disco di onesto rock blues che si ascolta d’un fiato, dall’inizio alla fine.

Alcune copertine sono talmente esplicite da farci capire esattamente come suonerà il disco che contengono. A un appassionato di rock, quindi, basterà un rapido sguardo alla cover di questo esordio degli Howlin’ Sun, band norvegese di stanza a Bergen, per capire immediatamente da che parte girano le canzoni che ne compongono la scaletta.

L’immagine, ammiccante e psichedelica, crea, infatti, un’immediata reminiscenza degli anni ’60 e ’70 e, anche solo visivamente, un gancio a quel genere che oggi chiamiamo classic rock. Ed è proprio su queste coordinate che si muove la musica degli Howlin’ Sun, andando a recuperare un suono dal sapore antico, che è strettamente imparentato con il british blues anni ’60, declinato, però, in chiave hard e psych.

E’ abbastanza evidente che nella discografia di questi giovani ragazzi norvegesi facciano bella mostra i dischi di papà, e tra i solchi è inevitabile percepire quelle che sono le fonti di ispirazioni primarie, da Jimi Hendrix ai più ruvidi Edgard Broughton Band fino ai mitici Blue Cheer, band con la quale gli Howlin’ Sun condividono più di un’affinità elettiva.

Se è vero che il genere, pur non avendo perso un briciolo di fascino alle orecchie di tanti appassionati, si perpetua senza grande originalità, la band norvegese, così come fecero gli antenati americani, lo reinterpreta, plasmando un sound incandescente, ruvido e sgranato che, pur nella prevedibilità della proposta, riesce a essere centrato e avvincente.

Dieci canzoni in scaletta che, a eccezione della conclusiva, acustica, A Little Bit Of Rain, tirano dritte tra riff sporchi, chitarre ad alzo zero e ispide aperture psichedeliche, sigillando un disco di onesto rock blues che si ascolta d’un fiato, dall’inizio alla fine.