Che gli svedesi Blues Pills avessero talento da vendere, era un fatto lampante fin dai primi due dischi. Tuttavia, come spesso succede, non sempre il talento da solo è sufficiente per riuscire a sfondare e conquistare un posto in Paradiso. L’arte, si sa, è, infatti, declinazione di sostanza espressa attraverso regole formali, due componenti, entrambe imprescindibili, l’una indissolubilmente legata all’altra. Con questo nuovo Holy Moly! i Blues Pills sono riusciti finalmente a far quadrare il cerchio, a definire un suono, il loro suono, raggiungendo quelle vette di maturità che nei lavori precedenti si intuivano, pur non essendo ancora così lampanti.
C’è più personalità, in questo lavoro, e più consapevolezza anche nel maneggiare quei riferimenti stilistici che apparivano chiari fin dall’omonimo disco d’esordio datato 2014. Le sonorità care alla band restano incredibilmente vintage, ma appaiono decisamente più curate, grazie a un lavoro certosino in studio attraverso apparecchiature e strumentazioni assemblate per l’occasione. Rispetto ai lavori precedenti, poi, certe divagazioni psichedeliche sono state accantonate in favore di uno scatto più deciso verso territori hard rock, contaminati con gusto e intelligenza mediante una più spiccata propensione al blues, al soul e al funky (che già si era intravista in passato).
Il risultato è una scaletta di canzoni che, pur se derivative (Grand Funk Railroad, Big Brother And The Holding Company, Free, etc.), suonano fresche, dirette, avvincenti, anche per il continuo altalenarsi fra brani tiratissimi e ballatoni torridi a lenta combustione. Basterebbero questi elementi a parlare bene di Holy Moly!, se non fosse, però, che il collante fra i brani è la freccia più acuminata dell’arco Blues Pills: la voce pazzesca di Elin Larsson, che nel corso del tempo si è arricchita di personalità e di numerose sfumature, tanto che, quel paragone che si è sempre snocciolato con la leggenda Janis Joplin, pur mantenendo un fondo di verità, non è più così esaustivo.
Oggi, l’influenza delle grandi cantanti di colore, a partire da Aretha Franklin, sono sempre più determinanti nel modo di cantare della Larsson, come è immediatamente evidente dall’ opener Proud Woman, un arrembante r’n’b che pulsa vivido e scatenato sotto una ruvida corazza hard. Ed è solo il primo assaggio di quello che la band e la sua cantante sanno confezionare egregiamente, sia quando si lanciano in ansiogene derapate hard rock che lasciano senza fiato (la devastante Low Road, il blasone sixties del rock blues grezzo e sgarbato di Dreaming My Life Away, il crescendo sferragliante di Bye Bye Birdy), sia quando recitano con piglio personale le tavole del blues nell’incredibile California, gli acuti della Larsson a dettare legge e una chitarra al cherosene in sottofondo a far avvampare di passione, sia quando deragliano nel groove funky di Kiss My Past Goodbye o quando spengono le luci e la malinconia vibra nel buio della sofferta Song From A Mourning Dove.
Al terzo tentativo i Blues Pills colgono finalmente il centro del bersaglio e rilasciano il loro capolavoro: un disco orgogliosamente vintage e dall’impatto devastante, che farà battere il cuore di tutti coloro che ancora credono nella legge delle chitarre e sono convinti che il sacro fuoco del rock è ben lontano dall’essersi estinto.