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REVIEWSLE RECENSIONI
01/12/2023
Chris Stapleton
Higher
Dopo un disco rock come “Starting Over”, con “Higher” Chris Stapleton si abbevera alla fonte del soul e del blues. Non il cambio di rotta che a questo punto della carriera ci si aspetterebbe dai lui, ma ancora una volta un disco solido e di altissimo livello.

Dopo aver cantato nell’ensemble bluegrass The SteelDrivers, aver guidato la band roots rock The Jompson Brothers e aver firmato più di qualche hit per pesi massimi del country contemporaneo come George Strait, Luke Bryan e Darius Rucker (senza contare il lavoro come autore per Brad Paisley, Dierks Bentley e Adele), Chris Stapleton ha trovato finalmente la sua strada nel 2015 a 37 anni con la pubblicazione di Traveller, il suo primo album solista. Un lavoro molto fortunato, che gli ha permesso di vincere da perfetto outsider tre importanti premi ai Country Music Association Awards del 2016 e raggiungere la prima posizione nella Top 200 di Billboard. Grazie a questa improvvisa visibilità, Stapleton ha collaborato con artisti pop del calibro di Justin Timberlake, Ed Sheeran e P!nk, e vinto il suo primo Grammy con l’album successivo, From a Room: Volume. 1, il tutto senza snaturare la sua personalità musicale, ormai diventata un vero e proprio punto di riferimento per il mondo del country.

A seguito del’uscita di From a Room: Volume. 2, conscio di offrire una formula ormai consolidata, Chris Stapleton ha iniziato a mischiare un po’ le carte a partire dal disco successivo, Starting Over, realizzato con la collaborazione degli ex Heartbreakers Mike Campbell e Benmont Tench. A dispetto del titolo, Starting Over non si è rivelato una vera e propria ripartenza per Stapleton, quanto piuttosto un riposizionamento, che ha ricordato per intenti e risultati il capolavoro di Tom Petty Wildflowers: in sostanza un album omnicomprensivo, che ha messo in evidenza ogni lato della personalità musicale di Stapleton, sottolineandone la capacità di rielaborazione della tradizione.

 

Giunto all’album numero cinque (o quattro, se vogliamo pensare ai due volumi di From a Room come un’opera unica), Stapleton ha ormai trovato la sua comfort zone, deviando solo di qualche metro dalla rotta tracciata. Per cui se Starting Over si poteva in un certo qual modo considerare il suo album rock, questo nuovo Higher si abbevera alla fonte del soul e del blues. Ne sono la dimostrazione il singolo “White Horse”, un pezzo che potrebbe essere uscito da uno dei primi due album dei Black Crowes, oppure “South Dakota”, un blues notturno che sa di delta del Mississippi. Brani come “Think I’m in Love with You” portano invece in primo piano il lato soul di Stapleton, mentre “Higher” è una vera e propria torch song. Gli unici pezzi propriamente country Chris li ha riservati per l’ultima parte del disco (“The Day I Die”, Crosswind” e “Weight of Your World”), prima del finale folk di “Mountains of My Mind”.

Prodotto ancora una volta da Dave Cobb, registrato nel prestigioso RCA Studio A di Nashville e suonato da Stapleton con i fedelissimi J. T. Cure al basso (con lui fin dai tempi dei Jompson Brothers) e Derek Mixon alla batteria, Higher vanta anche una straordinaria performance alla pedal steel del veterano Paul Frankin e un ottimo lavoro di Lee Padini dei Dawes all’organo Hammond e al pianoforte. La moglie di Chris, Morgane, oltre a cantare (da manuale le sue armonizzazioni in “Trust” e “It Takes a Woman”), questa volta ha suonato anche il sintetizzatore, affiancando Cobb e Stapleton nel ruolo di produttore del disco.

 

A pensarci bene, questo riuscito mix tra tradizione e novità, capacità di affiancare a un manipolo di musicisti affiatato ogni volta i collaboratori giusti, e di saper selezionare dagli archivi le canzoni da cantare al momento più adatto (“White Horse” è stata scritta con Dan Wilson una dozzina di anni fa durante una delle numerose sessioni di scrittura alle quali Chris ha partecipato quando era ancora solo un autore di belle speranze, mentre “Loving You on My Mind” è stata registrata in precedenza da Josh Turner per il suo album del 2010 Haywire), è forse il vero segreto di Chris Stapleton.

In poche parole è la sensazione di trovarsi al cospetto di uno di famiglia, che canta solo per te con una voce che sa toccare anche il cuore più duro (basta vedere come Chris sia riuscito far piangere pubblico e giocatori cantando l’inno americano durante l’ultimo Super Bowl) e che sa dirti la parola giusta soprattutto nei momenti più bui. Per cui è vero, magari dopo tanti anni vorresti sentire da lui qualcosa di diverso e che cambiasse un po’ la formula, ma se il risultato è ancora una volta un disco del livello di Higher, allora va benissimo anche così.