Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
18/04/2025
Bob Mould
Here We Go Crazy
Dopo cinque anni di silenzio, Bob Mould torna con Here We Go Crazy, un album che fonde l’urgenza del punk con la maturità di un songwriter consapevole. Chitarre affilate, testi intensi e una produzione essenziale rendono questo lavoro una dichiarazione di coerenza e vitalità inossidabile.

A conti fatti, Bob Mould è uno dei pochissimi musicisti usciti dalla scena hardcore anni Ottanta che ancora continua a fare musica in qualche modo rilevante. Dopo oltre quattro decenni passati a ridefinire i canoni del punk e dell’alternative rock, tra gli Hüsker Dü, i Sugar e una carriera solista che ha saputo alternare momenti di ferocia chitarristica a episodi più riflessivi, il cantautore di Minneapolis torna con Here We Go Crazy, un album che ribolle di urgenza ma porta con sé anche la consapevolezza di chi ha già vissuto tutto e ha trovato la sua voce definitiva.

Se Blue Hearts (2020) era un grido di rabbia politica e Sunshine Rock (2019) flirtava con un’inaspettata positività, Here We Go Crazy si muove lungo la sottile linea tra l’energia del punk più puro e il lirismo di un songwriter che oramai ha interiorizzato la propria eredità.

 

Registrato negli Electrical Audio di Chicago all’inizio del 2024 con i collaboratori di lunga data Jon Wurster (batteria) e Jason Narducy (basso) – i due sono con Mould dal 2012 e sono senza dubbio i migliori musicisti con cui questi abbia mai lavorato, suonando con un perfetto equilibrio di violenza e precisione – e poi rifinito e mixato al Tiny Telephone di Oakland, CA con l’ingegnere del suono Beau Sorenson, Here We Go Crazy rifiuta ogni sovrastruttura per concentrarsi su un suono diretto e viscerale.

La produzione, asciutta e senza fronzoli, richiama le radici sonore dei Sugar, con chitarre affilate e una sezione ritmica che pulsa con la precisione di un motore ben oliato. Già dall’opening track, l’omonima “Here We Go Crazy”, è chiaro che Mould non ha perso un grammo della sua intensità: un riff martellante, un ritornello che sembra fatto per essere urlato a squarciagola, e quella sua voce inconfondibile che si staglia sopra il muro di suono come un faro in una tempesta.

La produzione dello stesso Mould contribuisce all’impatto immediato dell’album, esaltando la potenza sonora delle chitarre e mettendo in primo piano la sua voce, che qui si fa più abrasiva che mai. Non c’è spazio per abbellimenti inutili: ogni traccia è un pugno diretto, con arrangiamenti essenziali che esaltano l’energia primaria delle canzoni. È un ritorno alle origini, ma senza nostalgia, è piuttosto un riaffermare una visione musicale che, dopo decenni, continua a essere incredibilmente vitale.

 

Se l’impatto sonoro è immediato, i testi scavano più a fondo. «In superficie, questo è un insieme di semplici canzoni pop per chitarra. Sto affinando il mio suono e il mio stile primario attraverso semplicità, brevità e chiarezza» ha dichiarato Mould. «Sotto la superficie, però, ci sono diversi temi contrastanti: controllo e caos, ipervigilanza e impotenza, incertezza e amore incondizionato». Mould ha sempre scritto canzoni che sembrano confessioni private, e Here We Go Crazy non fa eccezione. “Neanderthal” è un’esplosione di frustrazione nei confronti del mondo contemporaneo, con versi che denunciano la regressione sociale e politica, mentre “Breathing Room” abbassa la tensione con un’atmosfera più contemplativa, parlando della necessità di ritagliarsi uno spazio personale in una società sempre più soffocante.

Un altro pezzo significativo è “Hard to Get”, che si scaglia contro l’industria musicale con una ferocia quasi hardcore: «I’m too old to care, too young to stop / And the game is rigged from the bottom to the top». È un pezzo destinato a diventare un classico dal vivo, tanto per la sua energia quanto per la sua franchezza. In questi momenti, Mould suona ancora come il ragazzo che negli anni Ottanta scriveva inni generazionali con gli Hüsker Dü, ma con la consapevolezza di chi ha visto il ciclo della musica ripetersi più e più volte.

 

Uno degli apici emotivi del disco arriva con “Lost or Stolen”, una ballata scarna e struggente che affronta il tema della dipendenza e della perdita. Qui Mould abbassa i volumi e lascia che la sua voce, accompagnata da una chitarra acustica e da un riverbero delicato, porti tutto il peso della narrazione. È un momento di pausa necessario in un album che per gran parte del tempo non lascia respiro. La successiva “Sharp Little Pieces”, invece, gioca con la memoria e il rimpianto, parlando dell’innocenza perduta con uno sguardo più rassegnato che rabbioso. Se in passato Mould affrontava i suoi demoni con furia cieca, ora sembra più incline a osservare le cicatrici che la vita gli ha lasciato, senza negarle né glorificarle.

Verso la fine del disco, “You Need to Shine” – un pezzo che potrebbe sembrare uscito dal catalogo dei Foo Fighters, quando è invece Dave Grohl ad avere un debito con la scrittura di Mould – emerge come una sorta di manifesto di resilienza. «The world’s on fire, but you can still glow» canta Mould, con una linea melodica che contrasta con la durezza delle parole. È un invito a trovare la bellezza nonostante il caos, un tema che ritorna in chiusura con “Your Side”, pezzo che inizia con toni sommessi per poi esplodere in un crescendo di chitarre distorte e batterie inarrestabili, rappresentando un perfetto contrappunto alla malinconia di altri episodi dell’album, chiudendo il disco con un senso di urgenza quasi catartico.

 

Insomma, Here We Go Crazy non è un disco che reinventa la ruota, ma non ha bisogno di farlo. È la dichiarazione di un artista che sa perfettamente chi è, cosa vuole dire e come vuole dirlo. Se gli Hüsker Dü hanno rappresentato la furia giovanile e i Sugar il perfezionamento di una formula melodica, questa fase della carriera solista di Bob Mould si caratterizza per una fusione perfetta tra le due anime.

Per chi segue Mould da decenni, questo album sarà una conferma della sua coerenza e del suo talento nel raccontare le inquietudini dell’animo umano. Per i nuovi ascoltatori, Here We Go Crazy è una porta d’ingresso perfetta per scoprire un artista che ha plasmato il suono dell’alt-rock moderno e che, nonostante tutto, continua a suonare come se ne andasse della sua vita.

In un’epoca in cui molte leggende del rock si accontentano di vivere sugli allori, Mould sceglie ancora una volta la strada più difficile: quella dell’onestà, della passione e di una musica che pulsa di vita vera. Ed è proprio questa urgenza a rendere Here We Go Crazy l’ennesimo capitolo imprescindibile della sua parabola artistica.