Difficile trovare una copertina che espliciti in modo così inequivocabile i contenuti del disco che racchiude. La foto, infatti, immortala la frontwoman del quartetto londinese delle The Big Moon, Juliette Jackson, che è rimasta incinta e ha dato alla luce il suo primo figlio durante l'incerto e spaventoso primo anno della pandemia. L'ansia della gravidanza, le notti insonni, i problemi dell'allattamento al seno e la preoccupazione che la maternità potesse in qualche modo mettere a rischio la sua carriera di musicista, sono i temi documentati in undici istantanee meravigliosamente poetiche, che, come le pagine di un diario, dischiudono una finestra narrativa sui giorni di una maternità affrontata in uno dei momenti più incerti e inquietanti della storia moderna.
Eppure, il tratto distintivo del terzo album delle The Big Moon è che, nonostante l'argomento specifico, Here Is Everything risulta un disco godibilissimo anche per coloro che non hanno mai visto un bambino in vita loro. Se il punto di partenza è chiaro, è, infatti, altrettanto evidente che la magia delle undici canzoni in scaletta spazi ben oltre il tema della gravidanza, e sia, soprattutto, l’opera collettiva di una band mai così affiatata come oggi.
Se, infatti, inizialmente, a causa delle obbiettive difficoltà (non dimentichiamoci il lockdown), le registrazioni non davano i risultati auspicati, Soph Nathan (chitarra), Fern Ford (batteria) e Celia Archer (voce, basso) non hanno messo mai pressione all’amica Juliette, si sono prese il tempo necessario e hanno lavorato con calma, fino a completare quello che è, probabilmente, il loro disco più intenso. Non solo un disco sulla maternità, quindi, ma anche sull’amicizia e sull’amore incondizionato. Una sorta di diario, dicevamo, ma anche un percorso di consapevolezza, per raccontare sentimenti che spesso si danno per scontati e che, invece, diventano incredibilmente indispensabili nei momenti di difficoltà.
Here Is Everything si apre con "2 Lines," una canzone che parla del risultato positivo al test di gravidanza e di tutti i dubbi che ne conseguono, nella consapevolezza, questa sì, che la vita sta cambiando. E’ anche, però, la prova di quanto bene hanno lavorato le quattro ragazze britanniche, capaci di maneggiare la materia indie pop con una freschezza e un lirismo da autentiche fuoriclasse. Una maestria confermata anche dalla successiva "Wide Eyes", una luccicante canzone indie pop, così perfetta da far venire le lacrime agli occhi. Lo sfarfallio delle tastiere e il nerbo della chitarra acustica strapazzata introducono una melodia accattivante e a presa rapida, sulle cui note la Jackson canta di come sia diverso il mondo visto con gli occhi degli altri, gli occhi del suo bambino, certo, ma anche gli occhi delle sue compagne di avventura, che le hanno permesso di vedere come queste canzoni, in cui lei non riponeva alcuna fiducia, fossero in realtà le migliori scritte fino a oggi.
Così Here Is Evrything finisce per essere un disco che, pur partendo da un’esperienza personale, diventa universale, perché i grandi sentimenti di cui tratta si adattano benissimo a tutti gli ascoltatori. Dal punto di vista sonoro, poi, le undici canzoni in scaletta replicano il marchio di fabbrica della band, sono indie pop al 100%, ma mai, come ora, stratificato e ricco di sfumature: dolci ed essenziali ballate per pianoforte, ("Satellites"), melodie lineari spolverate di americana ("Sucker Punch"), giocosa effervescenza che ammicca al dancefloor ("Daydreaming") e pulsante synth-pop ("Magic") sono solo alcuni degli accenti con cui viene declinata la materia.
Se il debutto della band (Love In The 4th Dimension) suonava come una giocosa festa di innocenza indie, e Walking Like We Do del 2020 esibiva una maggiore maturità, a scapito, forse, dello scintillio dell’esordio, Here Is Everything si pone come un disco creativamente ambizioso, più curato, ma non per questo meno immediato. Semplicemente, spinge il quartetto verso una superiore consapevolezza, con rinnovato senso del divertimento, e senza perdere, soprattutto, un grammo di quella sensibilità che permette alle quattro ragazze britanniche di continuare a scrivere piccole grandi canzoni pop.