Tony Clarkin è un chitarrista che non ha mai avuto il piacere di finire nelle classifiche dei migliori strumentisti rock negli ultimi (almeno) quarant’anni, e mi chiedo quali abilità manchino a questo menestrello, che eccelle sia dal lato esecutivo, sia da quello della costruzione e produzione di un suono originale, sia nella creazione di riff e melodie memorabili.
I suoi Magnum fanno parte delle leggende dell’hard rock melodico, grazie a capolavori indiscutibili come Chase The Dragon del 1983, Wings Of Heaven del 1988 e soprattutto l’indimenticabile On a Storyteller's Night del 1985, che vendette quattrocentomila copie e divenne disco d’oro nel Regno Unito, portando la band a collaborare successivamente con stelle come Roger Taylor (proprio il batterista dei Queen e solido produttore), sfiorando un successo americano che però non arriverà mai. Se gli anni Novanta portano una musica nuova e grigia che conduce il quintetto albionico a un declino verticale, arriva nel 1995 il momento di fermarsi, che dura però soltanto pochi anni.
Nel 2001 i Magnum tornano senza fanfare ma con una determinazione che regala loro una seconda parte di carriera che possiamo definire “solida e concreta”. Ad oggi, con questo nuovo Here Comes The Rain siamo al disco in studio numero ventitré, che Clarkin condivide con la sodale voce di sempre, il magnifico Bob Catley (altro musicista incredibilmente sottovalutato dai più, ma che a settantasei anni non ha smarrito un’oncia di classe e intensità) e tre grandi professionisti come Dennis Ward al basso (dal 2009 nel gruppo, rinomato produttore), Rick Benton alle tastiere (che dal 2017 ha l’onere di sostituire il mitico Mark Stanway) e Lee Morris alla batteria (un passato dietro alle pelli dei Paradise Lost).
Il passo risulta regolare oramai, perché il nuovo disco arriva meno di due anni dopo il buon The Monster Roars, ma porta due grandi novità che esulano dalla musica che ascolteremo: la prima è il ritorno dell’illustratore Rodney Matthews e del suo visionario stile “fatato”, che ha accompagnato diversi album della band e di altri miti del rock mondiale (Asia, Avantasia, Scorpions, Uriah Heep, Thin Lizzy); la seconda arriva da una dichiarazione diretta di Tony Clarkin:
“Temo di avere delle brutte notizie per voi, ragazzi. Nell’ultimo anno circa ho avuto dolori sempre più forti al collo e alla testa. Per molto tempo i medici non sono riusciti a capire il motivo, ma ora hanno scoperto di cosa si tratta e ciò comporta alcuni cambiamenti. Ho sviluppato una rara malattia della colonna vertebrale. Non è limitante per la vita, ma può essere degenerativa in alcune persone e purtroppo non è curabile. Ci sono trattamenti che possono aiutare, ma non sappiamo quanto saranno efficaci.
Per via della vita in tour e il peso delle chitarre elettriche, non sarei stato in alcun modo in grado di tenere gli show programmati per la primavera. Abbiamo preso la decisione di cancellare il tour, piuttosto che creare confusione posticipandolo e sperando che le cose possano migliorare a breve termine. Bob non ha ritenuto giusto farlo in un momento come questo. Questa non è la fine dei Magnum, ma il futuro potrebbe essere un po’ diverso, quindi per favore abbiate pazienza mentre cerchiamo di capire cosa potrò e cosa non potrò fare d’ora in avanti. Mi dispiace davvero per chi aveva già acquistato i biglietti. E’ chiaro che sono assolutamente dispiaciuto di non poter suonare per voi.”
In attesa di scoprire cosa accadrà nel futuro della band, non ci resta che ammettere che l’essere umano non è eterno ma la sua arte può esserlo. A settantasette anni, mister Clarkin ci regala un ennesimo scrigno ripieno di meraviglie musicali, che non hanno paura del tempo che passa e che migliorano costantemente ad ogni ascolto ripetuto e successivo.
Se in apparenza siamo sempre davanti a quel rock stratificato e quasi malinconico che caratterizza l’ultima fase della carriera dei Magnum, a parte un paio di episodi sottotono, ci sono diverse sorprese, come i fiati del folk elettrico e beffardo di “The Seventh Darkness”, oppure l’hard blues settantiano ruspante di “Blue Tango”, che si aprono nella melodia sospesa e incantata di “Broken City”, oppure in una “I Wanna Live” che cita il pomp rock dei colleghi Asia e una “Borderline” che non dimentica le influenze progressive rock e ci dona uno dei rari assoli di un Clarkin in forma impeccabile.
Feeling a mille per un disco che va assaporato come un peccato da compiere senza rimpianti. Un giorno ci mancheranno, ma oggi i Magnum sono ancora qui, per stupirci una volta ancora. Immortali.
Post Scriptum: Dopo qualche giorno, ma prima dell’uscita ufficiale del disco, abbiamo appreso della morte di Tony Clarkin, avvenuta il sette gennaio. Ecco le parole della figlia Dionne:
“So che Tony ha raggiunto moltissime persone attraverso la sua musica in molti modi diversi. Ora che il dolore è così fresco, non ho parole per esprimere quello che significava per me. Come molti di voi sanno, a Tony piacevano molto gli animali. Per questo la mia famiglia vuole istituire un ente di beneficenza a suo nome per finanziare questa causa. Ulteriori dettagli verranno diffusi in seguito. Si prega di non inviare fiori o cartoline, perchè lui avrebbe preferito di gran lunga delle donazioni di beneficenza. È stato un privilegio poterlo chiamare papà”.
A noi non resta che consigliarvi vivamente di ascoltare la sua musica.