Correva l’anno 2017. “This Old Dog”, con la sua buona dose di autobiografismo e chitarra acustica, metteva a repentaglio la reputazione (non del tutto infondata) di un Mac Demarco un po’ immaturo in grado solo di creare le distorsioni più psichedeliche. Con quel disco, Demarco dava prova di essere più un cantautore che un semplice cantante indie elevando la qualità e la varietà della sua produzione.
Ora, inevitabilmente, l’uscita di “Here Comes the Cowboy” ha dovuto fare i conti con aspettative molto alte: c’è chi ha parlato di frustrante deriva creativa, artificiosità, scarsa intensità. Ma è davvero così?
Dal primo (omonimo) pezzo, si capisce subito che “Here Comes the Cowboy” non sarà un disco come gli altri: tre minuti di un semplicissimo blues a proposito di un certo cowboy di cui Demarco stesso non sa nulla. Un pezzo ambiguo che accresce nell’ascoltatore una curiosità per quello che lo aspetta. Ma allora è davvero un country record? No, per niente. I pezzi a seguire sono molto diversi, anche tra loro, e richiamano varie fasi artistiche del musicista canadese.
C’è però equilibrio fra vecchio e nuovo: pur dando grande spazio all’ultimo minimalismo chitarra-voce, Demarco non rinuncia alla psichedelia dei suoi grandi successi: è il caso di “On The Square” e “All of your Yesterdays”. In quest’ultima canzone, come in “Nobody”, il cantante volge ancora una volta uno sguardo al passato ma con testi più ermetici e sintetici.
Rimangono invece intatti i falsetti di “Still Together” con cui Demarco arricchisce l’humour di “Finally Alone” e la romantica “Skyless Moon”.
Ma a spiccare, fra tutte, sono “Preoccupied” e “Heart to Heart”: la prima per il colore della chitarra e la seconda per l’intensità del testo. Dedicata al rapper Mac Miller, da poco deceduto, rievoca un’amicizia profonda che, interrotta sul più bello, non ha avuto modo di rafforzare un florido sodalizio artistico.
Intanto, fra un pezzo e l’altro, Demarco dissemina qua e là qualche nuova sperimentazione: il cantante canadese gioca brillantemente con il funk e un gong in “Choo Choo” e tenta un grande omaggio al soft rock nel finale. “Baby Bye Bye” in chiusura, si apre con un pianoforte à la Carol King di “Tapestry” e si chiude con un coro beatlesiano (e con il magico gong di prima). Segue quasi un minuto di silenzio, abbastanza per pensare che il disco sia finito, ma ecco che Mac Demarco riemerge inaspettatamente con degli urlacci a metà fra un cowboy impazzito e James Brown. Traspare, infatti, un gusto un po’ retrò che trova conferma nella sua voce non impeccabile distante anni luce dal virtuosismo contemporaneo.
Omogeneo nella sua eterogeneità, “Here Comes the Cowboy” è un agglomerato di suggestioni e atmosfere che ricostruiscono il fitto mosaico di un immaginario inconfondibile con cui Demarco ha, inconsapevolmente, già segnato una generazione. Ora le cose sono cambiate, Mac Demarco si è stabilito a LA e conduce una tranquilla esistenza con la sua compagna. Allo stesso modo, “Here Comes the Cowboy” non è l’ennesimo disco da festival, ma il frutto di piccole sessioni fra amici e vecchi demos nel cassetto: Demarco ci porta esattamente in quel garage in fondo al giardino di casa dove registra con i musicisti a lui più cari. E proprio in questo idillio un po’ hippie, felici intuizioni lo pongono su un nuovo trampolino di lancio: quel cowboy che aleggia come un’ombra sul disco, in realtà, deve ancora arrivare. Nell’attesa, godiamoci l’ascolto.