All’altezza di Final Transmission, in molti erano ormai convinti che l’avventura dei Cave In fosse finita e che il titolo del disco fosse particolarmente eloquente. Concepito come saluto al bassista Caleb Scofield, scomparso in un incidente stradale nel 2018, Final Trasmission era una raccolta dei demo – ripuliti e corretti – su cui la band stava lavorando a sette anni dal precedente White Silence. Con la morte del bassista, i Cave In superstiti avevano deciso di sospendere le registrazioni in favore di un tour organizzato allo scopo di raccogliere dei fondi per la famiglia di Scofield, che lasciava una moglie e due figli piccoli.
È stata proprio questa tournée a dare l’occasione ai Cave In per ripartire. Durante quei concerti, infatti, Scofield era stato sostituito in parte dal fratello Kyle, ma soprattutto da Nate Newton dei Converge, che ha infuso alla band l’energia necessaria per accelerare il processo di guarigione e superare il lutto.
Prodotto da Kurt Ballou (che aveva già lavorato con la band al disco di debutto Until Your Heart Stops) nel suo GodCity Studio di Salem, Heavy Pendulum sancisce l’inizio di una nuova era per i Cave In, come suggerisce anche il titolo della prima canzone del disco, “New Reality”, che con il suo riff schiacciasassi mette insieme sludge metal e rock da stadio. Forti di oltre vent’anni di esperienza, i Cave In del 2022 riescono nell’impresa di declinare nei 70 minuti del disco tutte le diverse sfaccettature del loro sound, creando così un album al tempo stesso fedele allo spirito del passato ma totalmente proiettato nel futuro. Ecco quindi presenti il metalcore degli esordi, l’alternative metal del tanto vituperato Antenna (fallimentare tentativo di diventare più “commerciali”) e le influenze psichedeliche e space rock dei dischi successivi, il tutto però filtrato attraverso quell’attitudine hardcore che è il vero tratto distintivo della band.
Come è ovvio, non mancano anche alcuni richiami alle carriere soliste dei vari membri del gruppo, una su tutte quella di Stephen Brodsky (il più attivo tra i quattro), dal momento che pezzi come “Blinded by a Blaze”, “Reckoning” e “Heavy Pendulum”, con il loro incedere sludge e doom, non possono non essere ricondotti all’esperienza degli Old Man Gloom. E se ascoltando “Blood Spiller” non si può non pensare ai Black Sabbath, è altrettanto vero che la lunga e progressiva “Wavering Angel”, che chiude il disco su una nota di epicità, ha qualcosa dei Mastodon e degli ultimi Converge. Ma ci sono anche elementi di novità, come il crooning di Brodsky in “Nightmare Eyes” (a cui fa subito da contrappunto il rauco ruggito di Newton, perfettamente inserito nelle dinamiche del gruppo), il math-metal di “Floating Skulls”, la sperimentazione di “Waiting for Love” e l’alternative rock (quasi) radiofonico di “Reckoning”, cantata da Adam McGrath.
Con il suo sound roccioso e magmatico, perfetto punto d’incontro tra i Mastodon di Leviathan e Blood Mountain e gli Alice in Chains di Dirt (e in alcuni frangenti si odono anche echi di Broness e Red Fang), se Heavy Pendulum fosse uscito a metà degli anni Duemila ora lo ricorderemmo come un disco epocale, che molto probabilmente avrebbe reso i Cave In quella band di successo che avrebbe meritato di essere. Il flop di Antenna, invece, ha fatto di loro “solo” una band di culto. Forse arriva fuori tempo massimo per la fama mondiale e la vetta delle classifiche, ma se il compito di Heavy Pendulum è quello di ricordare a tutti come questa sia una band dal pedigree certificato, ebbene, il suo scopo è stato ampiamente raggiunto.