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REVIEWSLE RECENSIONI
14/11/2024
MC5
Heavy Lifting
A distanza di ben 53 anni, tornano gli MC5, guidati da Wayne Kramer e Machine Gun, entrambi deceduti prima della pubblicazione, con un disco di rock potente, imbastardito da numerosi groove funky.

Per raccontare la fulminea ma intensa parabola degli MC5, una delle band più seminali della storia del rock, con solo tre album all’attivo, fra il 1969 e il 1971, ci vorrebbero litri di inchiostro. Gruppo rivoluzionario, artefice di un suono furente, sporco e aggressivo, un impasto incendiario tra garage, proto punk e black music, e fautore di posizioni politiche estreme e militanti, con il solo Kick Out The Jam, disco dal vivo risalente al 1969, gli MC5 sono diventati nel tempo pietra miliare, che ha ispirato schiere di epigoni, come Ramones, Dead Kennedys, Rage Against The Machine e Hellacopters, tanto per citarne qualcuno.  

Un’avventura breve e intensissima, segnata da show rabbiosi, da polemiche a non finire, da un suono dinamico, esplosivo e rivoluzionario, tanto quanto i testi politicizzati (il loro manager era John Sinclair, leader delle Patere Bianche) che divennero megafono di protesta in un momento storico in cui la protesta era all’ordine del giorno.

 

Morti il chitarrista Fred “Sonic” Smith e il cantante Rob Tyner, figure iconiche della band, i superstiti si sono ritrovati nel 2018, tornando sul palco per una serie di concerti da tutto esaurito, e per comporre quelle canzoni che poi sarebbero confluite in questo Heavy Lifting, il primo album a firma MC5 dopo ben cinquantatre anni d’attesa.

Purtroppo, né Wayne Kramer, chitarrista e artefice principale di questo progetto, né il batterista Dennis “Machine Gun” Thompson (presente in due brani dell’album) sono sopravvissuti per vedere la pubblicazione di questa nuova creatura (sono deceduti rispettivamente il 02/02/2024 e il 09/05/2024) e assistere, soprattutto, all’ingresso degli MC5 nella Rock And Roll Hall Of Fame.

Heavy Lifting, dunque, è a tutti gli effetti un disco postumo, prodotto dal grande Bob Ezrim e nobilitato dalla presenza di un parterre de roi di musicisti (Tom Morello, Vernon Reid, Slash, William Duvall, Tim McIIrath), che alla band di Detroit devono molto della loro caratura artistica (emblematica la scritta sulla copertina interna del cd: We Are All MC5).

 

Una premessa è doverosa. Sarebbe ingeneroso e anche un po’ insensato pretendere che queste tredici canzoni siano attraversate dallo stesso suono e dalla furia iconoclasta di cinquant’anni fa. Non c’è un’altra "Kick Out The Jams", per intenderci, ma permane da parte di Kramer e dei suoi ospiti la volontà di tener fede a un’idea politica (questa militanza è ancora palpabile nei testi), e di concepire un disco che, plasmato da un suono più moderno, esprima quantomeno la stessa forza d’impatto. E se è vero che manca un po’ di coerenza nella scaletta, a causa della presenza di diversi ospiti e delle tante idee nate dal cuore e dal cervello di chi sa che il suo tempo è segnato, non manca però la voglia di stare ancora in prima linea, di riportare alla luce quello straordinario suono di una chitarra che ha fatto scuola e di dare un ultimo colpo di coda, potente, grintoso, definitivo.

Non è un capolavoro, Heavy Lifting, e nessuno mai lo avrebbe preteso, ma un riuscito disco di rock, insufflato da groove funky, e striato da graffi psichedelici e blues, questo sì.

 

La title track apre il disco con la presenza alla chitarra di Tom Morello: "Heavy Lifting" è un brano che richiama alla mente, quasi inevitabilmente, i Rage Against The Machine, in una sorta di passaggio di consegne fra il suono di un padre al figlio putativo, alla band, cioè, che più di ogni altra ha incarnato lo spirito musicale e politico degli MC5. Un pezzo duro, picchiato, un po’ lontano dagli standard del gruppo originario di Detroit, ma interpretato benissimo da Brad Brooks, la cui voce ispida è perfettamente funzionale al progetto.

Il suono più tipicamente MC5 viene recuperato in alcuni ottimi episodi come "Barbarians At The Gates" (mamma mia, quella chitarra!) e "Can’t Be Found" (questa con Machine Gun alla batteria e uno spettacolare assolo di Vernon Reid). E se il funky è protagonista assoluto in brani come la trascinante "I’am The Fun (The Phoney)" e la breve e uncinante "Black Boots", la sovrapposizione delle due voci, di cui una in falsetto, in "Because Of Your Car" fa addirittura eco a dei Blood Brothers che suonano black music e non post hardcore.

Resta ancora da accennare alla strepitosa "The Edge Of The Switchblade", ospiti Slash e William Duvall (Alice In Chains), una tirata rock da far tremare le vene dei polsi e, di sicuro, il brano più riuscito dell’album.

 

Da segnalare per gli appartenenti a quella razza in via d’estinzione, alla quale appartiene il sottoscritto, che i dischi ancora li comprano, che la versione deluxe dell’album offre un secondo cd contenente un live dal recente tour dei 50 anni, denominato MC50, registrato con Matt Cameron, Billy Gould, Kim Thayil e Brendan Canty. Una vera e propri fucilata a pallettoni che, ascoltata a volume alto, può nuocere gravemente alla salute dei padiglioni auricolari.

Alla luce di tutte le premesse espresse precedentemente, Heavy Lifting è un disco che piacerà di più agli amanti del rock duro e della contaminazione che agli ascoltatori nostalgici degli MC5, i quali probabilmente non si rassegneranno al fatto che il suono di 50 anni fa non può essere più quello di oggi. Poco male. Sono convinto che Wayne Kamer e Machine Gun sarebbero stati orgogliosi di questo disco, non memorabile certo, ma vitale e incazzato, e avrebbero riso in faccia a eventuali detrattori, facendo presente che chi ha fatto la storia, la storia la può modificare a proprio piacimento. Per chi scrive, questo è un disco godurioso, che fortunatamente ricaccia in gola il groppo della nostalgia e che ci restituisce, mutato, ma divampante, il sacro fuoco del rock. Che la terra vi sia lieve, motherfuckers.