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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
06/02/2023
Saga
Heads Or Tales
I canadesi Saga chiudono la loro prima parte di carriera con "Heads Or Tales", un album dagli accenti più mainstream che in passato, e che fonde mirabilmente approccio progressive, airplay radiofonico e coeve sonorità new wave.

Quando nel 1981 fu pubblicato il quarto album dei canadesi Saga, Worlds Apart, il singolo principale, "On the Loose", li fece finalmente entrare per la prima volta nella Top 40, raggiungendo la ventiduesima piazza delle classifiche nazionali, nel gennaio 1982, e la ventiseiesima nella classifica di Billboard, nel febbraio 1983. Anche un secondo singolo, "Wind Him Up", andò bene, spinto da una videoclip che ricevette una forte rotazione su MTV.

Qualcosa, dunque, stava cambiando, e finalmente il mondo si era accorto di questi cinque ragazzi, che avevano iniziato a calcare le scene con un omonimo album di debutto, passato praticamente sotto silenzio. Questa inaspettata esposizione mediatica, consentì ai Saga di aprire i concerti dei Jethro Tull durante il loro tour nel Nord America, oltre a vincere, sempre quell’anno, il Juno Award come Most Promising Group Of The Year. Per battere il ferro finchè caldo e cerca di sfruttare al massimo l’onda lunga del successo, i cinque canadesi si misero presto al lavoro per comporre un seguito adeguato del loro best seller Worlds Apart, un disco che permettesse alla band di restare ai vertici delle classifiche e di ampliare le schiere dei propri fan.

Esce così, a settembre del 1983, esattamente due anni dopo, Heads Or Tales, un album che cerca nuovi consensi attraverso un'attitudine più commerciale, ma non per questo meno suggestiva. Il disco, ancora prodotto da Rupert Hine, non replica il successo del predecessore, ma raggiunge, comunque, ottimi risultati di vendita trainato dall'esplosivo singolo "The Flyer" e dal successivo "Cat Walk".  

Nonostante un taglio più mainstream, Heads Or Tales mantiene alto il livello d’ispirazione della band, e la scrittura funziona dannatamente bene, grazie alla perfetta sintesi tra consueto approccio progressive e uno scintillante airplay radiofonico, che abbraccia le nuove istanze sonore legate al coevo movimento new wave. Riascoltato, oggi, il disco risulta inevitabilmente datato, eppure continuano a sorprendere il suono pieno, rotondo e accattivante (che forse lesina un po’ sui bassi, ma poco importa), gli arrangiamenti estrosi e le spiccate doti tecniche di cinque musicisti che sono stati battezzati, e si sente, all’altare del progressive.

Il singolo apripista, "The Flyer", e la successiva "Cat Walk" replicano l’apertura esplosiva di Worlds Apart, sono due siluri lanciati per colpire e affondare. Gli schemi ritmici dei due brani si fondono alla perfezione con la voce di Michael Sadler, grande estensione e timbro vagamente melodrammatico, la chitarra di Ian Crichton dispensa arabeschi con fantasiosa tecnica, la batteria di Steve Negus è tutt'altro che ordinaria (e nel corso del disco si coglierà anche una certa propensione per i tempi in levare), le linee di basso di Jim Crichton sono muscolose ma snelle, e l’uso dei synth da parte Jim Gilmour, che spesso replicano il suono degli ottoni, sono spavaldi, ficcanti e ingegnosi, ma mai ridondanti.

Negus si prende la scena su "The Sound Of Strangers" grazie a un drumming possente che connota l’andamento minaccioso del brano, destinato a diventare ben presto uno dei cavalli di battaglia live della band. "The Writing" è una delle vette del disco, possiede una straordinaria ossatura funky, costruita su favolosi riff di tastiere di Gilmour, e si sviluppa attraverso un tumultuoso crescendo, fino a un ritornello così melodico, da potercisi fidanzare fin dal primo appuntamento. "Intermission" è il brano che resta più legato al decennio in cui è stato concepito, un leggero downtempo costruito su evanescenti tocchi di chitarra e caratterizzato da synth avvolgenti (Jim Crichton, qui, suona il synthbass) e percussioni elettroniche, le cui liriche malinconiche parlano di un uomo che ha sprecato la propria vita e che non è riuscito a esprimere quel potenziale che possedeva fin da ragazzo.

I tre minuti di "Social Orphan", sorretti da una linea di basso potentissima, rappresentano uno scintillante esempio di arena rock, mentre, per converso, suona debole "The Vendetta (Still Helpless)", l'unico punto basso dell'album, la cui melodia, anche se interessante, finisce per perdersi in una produzione che gigioneggia troppo con gli stilemi AOR. Il disco, però, si riprende subito con quella meraviglia intitolata "Scrachting The Surface", grande linea vocale di Jim Gilmour, ritornello fulminante, un suono di synth e batteria elettronica strabiliante, e un grande passaggio strumentale (che evoca i Genesis di Duke), prima del ritornello finale.

Chiude la scaletta un vigoroso funky intitolato "Pitchman", probabilmente il punto più alto dell’intero disco, che palesa, oltre alla consueta splendida melodia, anche tutte le capacità tecniche e la spumeggiante inventiva della band. La seconda parte del brano, infatti, interamente strumentale, è gioia pura per le orecchie, un sali e scendi emotivo sulle montagne russe, che si apre con un favoloso assolo di moog di Gilmour e che, poi, accelera improvvisamente in un turbinio vorticoso di elettricità, in cui la chitarra di Ian Chricton diventa assoluta protagonista.

La versione rimasterizzata del disco, frutto di un ottimo lavoro di cesello fatto da Steve Negus, contiene anche una bonus track, che non aggiunge nulla al disco originale, e cioè "Cat Walk (Unabridged)", una versione estesa dell’omonima canzone in scaletta, che contiene una serie di virtuosismi di Ian Chricton.