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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
09/07/2018
Negative Space
Hard, Heavy, Mean And Evil
Un caotico agglomerato di dilettanti a metà tra Sir Lord Baltimore, Morgen e agonizzanti aborti di assoli sanguinolenti nell’idea di un Santana spastico ...

Il fascino ambiguo e a tratti irritante di un bootleg registrato nel seminterrato umido di qualche pub della East-Coast; la stonatura, la saturazione, l’improvvisazione totalmente disarmonica, anche qualche chitarra scordata. Una certa cattiveria lessicale ed un titolo fantastico. I Negative Space hanno in effetti pochissime frecce al loro arco, ma la distorsione, la totale mancanza tanto d’armonia quanto di uno straccio di tempo condiviso li colloca (casualmente) quasi ai limiti del “noise-post-tutto” più rigoroso, anticonformista, grezzo, alcolizzato e cocainomane.

Un caotico agglomerato di dilettanti a metà tra Sir Lord Baltimore, Morgen e agonizzanti aborti di assoli sanguinolenti nell’idea di un Santana spastico e autistico in Isolated Ivory Tower e Hey Wall, mentre la storpiatura per psichedelia snaturata di Summertime (proprio quella!) si colloca direttamente in una pregevole estetica del brutto, alla sezione physica curiosa: Gershwin dilaniato nel backstage del più scalcagnato palco del New Jersey.

Il gruppo però sfugge al fascino degli opposti quando allenta la pressione sugli amplificatori e si addormenta su pezzi lenti dalla melassa sconfortante; in The Long Hair fa capolino addirittura un abominevole flauto dolce, mentre il buon tentativo di power-ballad sul riff di Purple Haze in The Living Dead è zavorrato da un canto allucinante.

The Calm After The Storm almeno è violenta, ignorante, rumorosissima, perfettamente maschilista e con un verso che potrebbe riassumere tutto il mondo di US Hard Rock Underground: “Head for the horizon baby, follow the moon / Today’s an endless highway, tonight a long long trail”.  E c’è pure l’assolo di batteria! Risolleva le fortune dell’album anche l’isterismo marcio di Forbidden Fruit, un’amputazione stoner-punk devota al chunk-chunk-chunk chitarristico più bieco e insipiente dai tempi del garage dei Sonics.

Fosse stato il ’77 avrebbero anche avuto qualche minima chance.

Album poverissimo dal punto di vista tecnico e melodico, vanta qualche bel sound vintage ed un titolo ben migliore dei contenuti, che gli ha garantito una pur minima fama tra i cultori.

La storia discografica è intricata e comincia con un’uscita in vinile in puro stile “do it yourself” del 1969, con due copertine alternative, una interamente bianca e l’altra nera (pezzo raro, prezzi indicativamente oltre i 200$, ma scambi inesistenti…). A questa uscita originaria dovrebbe seguire una ristampa in vinile sempre della Castle nel 1984, questa volta con una bella cover ipnotica e op-art, bianca e viola; 8 tracce, label nera. Venduta attorno ai 50 euro, che possono variare assai in base allo stato del vinile.

Esistono anche edizioni in compact disc a cui ha messo ordine nel 2009 un’esagerata uscita Rockadrome (Rockoio V2) - di fatto riedizione di un vecchio CD Monster a titolo The Living Dead Years - con tanto di 10 bonus comprendenti inediti e b-side, per la maggior parte cover di hit dell’epoca da Light My Fire a The Pusher, e incisioni degli Snow, la futura band del chitarrista Rob Russen: west coast non amplificata e affatto male. Completo ma esagerato.

 

Rob Russen: guitar, vocal

Jimmy Moy: guitar, vocal

Bob Rittner: bass, vocal

Lou Nunziatta: drums