Chi ha familiarità con la discografia dei Black Crowes, avrà notato che – citando Cesare – «est omnis divisa in partes tres». Da un lato ci sono i dischi song-oriented come Shake Your Money Maker, The Southern Harmony and Musical Companion, By Your Side e Warpaint, mentre dall’altro ci sono quelli più jam-oriented, come Amorica, Three Snakes and One Charm e Lions, dove il sound generale conta più delle singole canzoni. In mezzo c’è un episodio isolato, il sottovalutato Before the Frost...Until the Freeze, che, assieme al fratello spirituale Croweology (tecnicamente un disco di rivisitazioni acustiche), lascia intravedere il lato più bucolico della band. A quale delle tre categorie appartiene Happiness Bastards, primo album dei Black Crowes da quindici anni a questa parte?
Che i fratelli Chris e Rich Robinson sarebbero tornati prima o poi a collaborare era scritto nel destino, nonostante negli anni il livello di non sopportazione reciproca avesse sfiorato quota Gallagher Bros. (con i quali, ironia del destino, nel 2001 avevano condiviso un tour chiamato, tra il serio e il faceto, The Tour of Brotherly Love). In seguito al secondo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 2015 perché Chris aveva reclamato una maggiore quota di introiti rispetto agli altri due titolari del marchio (il fratello Rich e il batterista Steve Gorman, che si è vendicato scrivendo Hard to Handle: The Life and Death of the Black Crowes – A Memoir, dove il frontman non ne esce benissimo), i due Robinson si erano dedicati alle proprie carriere soliste, ignorandosi cordialmente. Chris aveva assoldato Neal Casal e si era dato alla psichedelia con la Chris Robinson Brotherhood, tra Grateful Dead e Allmann Brothers Band, mentre Rich prima aveva pubblicato un disco solista (Flux) poi aveva formato i Magpie Salute, coinvolgendo gli ex compagni di band Marc Ford e Sven Pipien, tornando a quel sound tipicamente southern rock che è sempre stato il suo habitat naturale.
Molto probabilmente questi due sentieri avrebbero continuato a procedere in parallelo senza mai incontrarsi per chissà quanto tempo se il tragico suicidio di Neal Casal, avvenuto nel 2019, non avesse messo fine all’esperienza CRB. Il resto, stando alle parole di Chris, l’ha fatto la sua nuova compagna, Camille Johnson, che ha funto da catalizzatore nel ricucire il rapporto con Rich.
Ed ecco che alla fine del 2019, durante un’intervista all’Howard Stern Show, Chris e Rich hanno annunciato a sorpresa di aver risolto le loro divergenze e di aver programmato un tour nel 2020 per commemorare il trentesimo anniversario del loro album di debutto, Shake Your Money Maker. Inizialmente questa mossa aveva fatto storcere il naso alla maggior parte dei fan, dal momento che la nuova line-up non prevedeva la partecipazione di nessun altro membro storico della band oltre ai fratelli Robinson. Alla fine il tour è stato interrotto dalla pandemia di COVID-19 ed è ripartito solo a metà del 2021, quando ai Black Crowes si è aggiunta una vecchia conoscenza, Sven Pipien, al basso in By Your Side, Warpaint e Before the Frost. Nel frattempo la band aveva annunciato di aver scritto una ventina di nuove canzoni, con l’intenzione di registrarle dopo che il tour celebrativo era finito.
Ed eccoci arrivati a Happiness Bastards, decimo lavoro in studio della band di Atlanta. Già il titolo, preso da un romanzo dello scrittore beat di culto Kirby Doyle (a sua volta ispirato a Sulla strada di Jack Kerouac), è una dichiarazione d’intenti; come ha rivelato Chris in una recente intervista: «è un vero disco rock and roll, un disco da sabato sera, quando ti prepari per uscire o fare una festa con i tuoi amici o per andare a un concerto». E questo si sente tutto: Happines Bastards è il disco più diretto e rock and roll dei Black Crowes dai tempi di By Your Side, senza dubbio influenzato dal tour celebrativo di Shake Your Money Maker, dove la band ha eseguito il disco che l’ha fatta conoscere rimanendo fedele il più possibile alle registrazioni originali, senza jam e improvvisazioni.
Registrato a Nashville all’inizio del 2023 con il super produttore country Jay Joyce (Eric Church, Miranda Lambert, Brothers Osbourne), Happiness Bastards è un disco spoglio, scarno e rumoroso, quasi punk nell’atteggiamento, dove al centro di tutto troviamo una band che suona dal vivo in studio con gli amplificatori a 11, come in quella vecchia gag del film This Is Spinal Trap. Ecco quindi che canzoni come “Bedside Manners” e “Rats and Clowns” sono due ottimi schiaffi in faccia, perfette per iniziare il disco con il piglio giusto, ma anche “Dirty Cold Sun” e “Flesh Wound” non sono da meno. “Cross Your Fingers” è l’unico acquerello elettroacustico del disco, mentre “Wilted Rose”, in duetto con la stella nascente del country Lainey Wilson (suo il disco dell’anno agli ultimi Grammy), è forse il pezzo in cui i Black Crowes si lasciano più andare (non a caso è l’unico che supera i cinque minuti), con un incipit acustico e un crescendo elettrico dalla seconda metà in poi. Curiosamente la canzone più sperimentale del lotto (se per i Crowes si può spendere una parole del genere) è il primo singolo “Wanting and Wanting”, dalla struttura non convenzionale e con degli inserti di elettronica forse un po’ datati. Uno scivolone facilmente perdonabile, dal momento che anche brani come il soul rock di “Follow the Moon” e la conclusiva ballad “Kindred Friend” sono di ottima fattura, a testimonianza che aver mantenuto la scaletta e il minutaggio compatti è stata una scelta azzeccata, consegnando all’ascoltatore un album «all killer no filler».
Detto questo, ovviamente un disco come Happiness Bastards parla ai convertiti e non offre chissà quali novità a livello di sound. Tradizionalisti e revivalisti quali sono, i Black Crowes vivono in un mondo fermo al 1972, a cui tra l’altro hanno dedicato l’EP di cover che due anni fa li ha rimessi in carreggiata dal punto di vista discografico. Per cui qui c’è il solito mix tra gli Stones di Exile on Main Street, i Faces di A Nod’s as Good as a Wink... To a Blind Horse e il primo Rod Stewart solista, il tutto eseguito con estrema perizia. Forse l’unico punto debole è una certa mancanza di personalità, dal momento che i tre Crowes superstiti sono qui affiancati sì da ottimi mestieranti (Erik Deutsch alle tastiere, Nico Bereciartua alla chitarra e Cully Symington alla batteria), a quali però manca lo spessore di musicisti come Marc Ford, Audley Freed, Luther Dickinson, Eddie Harsch e Adam MacDougall. Ma va bene così, dopo quindici anni non solo non era scontato avere un nuovo disco dei Black Crowes, ma anche averne uno così di ottimo livello. E non è una cosa da poco.