Per elogiare l'impianto visuale di Gravity potremmo partire dal titolo del film, la ricostruzione dei movimenti dei due protagonisti, Sandra Bullock e George Clooney, in assenza di gravità sono fluidissimi, contribuiscono in maniera decisiva a scatenare nello spettatore i diversi stati d'animo nelle varie sequenze del film, spesso legati all'angoscia ma che restituiscono anche un'idea di libertà, di scoperta, di infinito e di perdita di direzione. Il discorso è chiaramente metafisico, in alcuni passaggi Cuarón ci presenta una metafisica for dummies, vedi l'ultima scena con riferimento talmente palese che anche i bambini delle elementari dopo aver studiato l'origine della vita possono comprendere. Questo nulla toglie alla forza delle immagini, la sequenza finale si lascia apprezzare molto nonostante l'ovvietà di fondo. Ciò che emerge maggiormente in Gravity, oltre al percorso di "rinascita" della protagonista, è la tensione che accompagna la narrazione per l'intera durata del film (fortunatamente contenuta), in questo c'è un perfetto equilibrio tra immagine e narrazione che vanno a costruire un film avvincente seppur dallo sviluppo canonico, cosa che ad esempio non è riuscita al regista con il successivo Roma che indubbiamente aveva motivazioni più personali e di valore ma che mancava completamente di mordente.
Cuarón ha un approccio al tema, parlando sempre di immagini, abbastanza originale. La Terra è lì, immensa, sembra a portata di mano eppure è così lontana. Ci sono i silenzi dello spazio profondo, la leggiadria dei movimenti, gli astronauti liberi di muoversi nel vuoto legati a quello che dovrebbe essere un robusto cavo, esile come il filo che regge una vita. Le distanze sono espresse in km, sembra quasi un'ultima frontiera alla portata di tutti. La dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) è alla sua prima missione spaziale sullo Space Shuttle Explorer, è accompagnata dall'astronauta esperto e prossimo alla pensione Matt Kowalsky (George Clooney). Agganciati al famoso telescopio Hubble per delle riparazioni i due astronauti vengono investiti da una pioggia di detriti che danneggia l'Explorer uccidendone il resto dell'equipaggio; Stone e Kowalsky si troveranno così alla deriva nello spazio aperto con solo un jetpack come mezzo di propulsione per raggiungere la "vicina" Stazione Spaziale Internazionale per poter usare uno dei suoi Sojuz per tornare a casa.
La tensione è costante ed è data da tutti gli inconvenienti che capitano ai due protagonisti a partire dalla presenza dei detriti in orbita attorno alla Terra e che quindi tornano ciclicamente facendo danni, il tutto acuito dall'inesperienza della Stone che deve far ricorso alla teoria del corso di addestramento per cavarsela nelle situazioni più complesse. Proprio per lei questa prova di resistenza sarà simbolo di una rinascita come essere umano, irrimediabilmente ferito da un trauma del passato, la forza necessaria per affrontare lo spazio sarà la stessa che servirà per affrontare una nuova vita, il tutto porterà alla famosa scena for dummies di cui abbiamo parlato prima. Nonostante i pochi elementi il film regge benissimo proprio per il dosaggio perfetto della tensione, aiutato da immagini spettacolari e da un impianto sonoro all'altezza, la Bullock, vera protagonista, regge il peso del film sulle sue spalle metaforicamente larghe, si gode anche di un respiro internazionale pur essendo a chilometri dal suolo terrestre grazie ai vari costrutti americani, cinesi e internazionali che costellano l'orbita terrestre.
Pur peccando di un pizzico di didascalismo, Gravity rimane un ottimo film, grande esperienza visiva e coinvolgente nella gestione della suspense, manca l'appuntamento con l'Oscar per il miglior film, mi tocca però dire che pur avendo visto solo altri due titoli tra quelli candidati nel 2014 insieme a Gravity in effetti entrambi (non vi rivelerò quali) mi sono sembrati migliori di questo. Probabilmente la produzione si sarà accontentata degli incassi stratosferici e delle altre sette statuette raccolte.