“La violenza inflitta alla parola si chiama “impoverimento” e se la violenza è un crimine, il crimine raddoppia quando l’impoverimento è volontario e di matrice mercantile. La povertà culturale, così come la paura, sono industrie fiorenti in questo ridicolizzato paese” (P. Marino).
Chiudo i miei occhi. Metto sul piatto questo vinile e porto in movimento il rotore. Prendo la puntina e la lascio cadere in un punto qualunque… un po’ come si fa nei film quando fai girare il mappamondo (eh sì, film vecchi s’intenda) e si punta il dito a caso per scegliere una destinazione. Sarà sempre un grandissimo posto dove andare, ne siamo sicuri. Così la puntina di questa storia: avrà sempre un istante prezioso sul quale appoggiarsi, una trama salvifica da farci ascoltare.
“Tilt” è il nuovo disco di Pino Marino. “Tilt” è un disco di libertà come ho detto più volte. Un disco che culla la libertà, ne segna i contorni e poi li scavalca con naturalezza, un disco in cui la condanna passa per una solenne dimostrazione di comprensione verso quello che accade… che spesso la menzogna quotidiana è figlia insindacabile dell’ignoranza del gregge che non ha capacità alcuna di capire quello che ci viene mostrato dalle televisioni pubbliche (e “private”). “Tilt” è un disco che conservo fuori dal mucchio perché a lui ho dato il compito di svegliarmi e di svegliare questa siesta funzionale che ho sulle spalle, a lui do il compito di puntare la luce e di sfoderare una lama affilata… è un disco di severità e di compassione, di molteplici intelligenze e di “una voce soltanto” che però ha le sembianze di uomo ma anche di donna, che è di Pino Marino sempre ma è anche di Ginevra Di Marco all’occorrenza, oppure sembra avere le sembianze di una meravigliosa Tosca che canta “Roma Bella” di cui mi sono innamorato non come capita davanti alla luce di un diamante ma come succede sempre girando tra le mani un disegno di bambino… e il grande Vinicio Marchioni che alla fine rileggerà tutti i tilt di questo disco ha un prezzo poco numerabile… ma sempre che di fronte dovremmo sederci ad ascoltare, oltre le abitudini che sono ben radicate sulle nostre ossa e sulla nostra coscienza. “Tilt” è un disco di tempo lento, antico, analogico, di tempo che non pretende velocità… è un disco di libertà allora, come dicevo, laddove per libertà intendo dire verità.
Poi la canzone d’autore non andrà più di moda e su questo siamo tutti d’accordo. Ma è anche vero che abbiamo sempre bisogno delle mode e dei nuovi sacerdoti a dirci cosa fare… ed è vero anche che siamo sempre bravi ad inventarci scuse buone per aderire al copione funzionale.
Viviamo di tilt continuamente. “Tilt” però è un disco di libertà…
Se non siamo capaci di svegliarci, forse siamo capace almeno di ascoltarlo. Una volta soltanto almeno… e senza scuse mi raccomando… sono sicuro sarete in grado di fare uno sforzo simile.
Parola. Ecco una parola importante. Oggi i tilt di questa vita comune, in società, secondo me riguardano prima di tutto la violenza gratuita che facciamo sulla parola. Violenza che ne deforma i contorni e i contenuti…
La violenza inflitta alla parola si chiama “impoverimento” e se la violenza è un crimine, il crimine raddoppia quando l’impoverimento è volontario e di matrice mercantile. La povertà culturale, così come la paura, sono industrie fiorenti in questo ridicolizzato paese.
Senza più ricerca, senza sforzo, senza immaginario, senza spinta e senza più il rischio di una visione che sia una, la parola è stata messa a servizio del banale. Noi siamo il nostro linguaggio, quindi noi oggi siamo banali, piccoli, striminziti e feroci (per spavento e per banalità).??
Altra parola che mi viene alla mente: piazza. Piazza pubblica, piazza di vita quotidiana. Oggi siamo costretti dalla pandemia prima e dalle abitudini digitali poi a circoscrivere la nostra piazza dentro le mura di casa. Ecco un altro tilt: che ne sarà dell’uomo, della sua carne, del suo mutuo rapportarsi dopo questa full immersion di vita digitale e di abitudini liquide e virtuali?
La pandemia non è il tilt, ma è la lente di ingrandimento su tutti i tilt generati con perseveranza fino ad oggi. La piazza ha avuto modo di diventare liquida quando il 70% delle nostre attività, delle nostre opinioni e della nostra partecipazione, si sono trasferite su piattaforma. Le serie televisive e gli abbonamenti da divano hanno per più di buona metà sostituito il moto a luogo verso le sale cinematografiche. L’ascolto e l’acquisto digitale hanno sostituito il moto a luogo verso i negozi fisici. Le nostre emorragiche opinioni a distanza e la firma a certi appelli on-line, hanno sostituito in larga misura il confronto e anche lo scontro reale. Ho visto dei ragazzi non più in grado di corteggiare, abilissimi nel cercare la più bella del reame nel catalogo pornografico offerto da una delle vetrine con un attivo commerciale più alto. Non è un giudizio promosso dal vissuto di un’altra generazione ed io non sono un nostalgico, vivo questa deriva e ci lavoro dentro, ma a cosa porterà io non so dirtelo. Posso raccontare a cosa ci ha già portati.??
Vanità: bella e importante quest’altra parola, vero? Il falso ha una vanità quasi ossessionata e ossessionante. Forse è proprio grazie a questa vanità che il falso si fa strada con naturalezza e ambizione, perché oggi vedo persone, artisti soprattutto, capaci di accettare il falso pur di essere illuminati.
Sono perfettamente d’accordo con la tua osservazione dei fatti, il falso ha una vanità quasi ossessionata e ossessionante, tanto più evidente quanto più lanciata a convincere (autoconvincendosi) di apparire vera. Non mi dilungo qui, perché all’analisi di questo specifico tilt ho dedicato un’intera canzone dell’album: “Crepacuore”. Ascoltando lei, diventa più esplicita la mia posizione in merito. ??
Che rapporto hai con il tilt? Che rapporto hai con il falso?
I tilt vanno responsabilmente tradotti e affrontati, trovare giustificazioni o attenuanti generiche ai tilt è già opera del falso. Io sono un carburatore, assorbo, filtro e traduco. Tutto qui, il falso mi intossica, ma la poesia del reale mi bonifica. Questo bilanciamento mi tiene in attività costante. ??
Io mi fermo sulla copertina. Penso sia qualcosa che annienta ogni possibilità di parola e di falso. Penso anche che qualsiasi domanda sia banale al confronto. Lasciando perdere tutti i riferimenti, le biografie, tutto. Pino Marino cosa ha visto e pensato quando ha incontrato questa foto?
Lo scatto di Emad Nassar l’ho incontrato un paio di anni prima che iniziasse la necessità di raccontare “Tilt”. Raccolgo le immagini che mi colpiscono in una cartella e quando ho riaperto quella cartella per cercarne una che rappresentasse questo lavoro, ho capito esattamente quale fosse. Un quartiere di Gaza completamente distrutto sullo sfondo e un appartamento senza più pareti che lascia tutto a vista, ma al centro esatto di quella foto vivono una vasca da bagno (unico elemento rimasto integro), due bambine al suo interno che giocano e ridono insaponate e un padre chino su di loro (questo è l’elemento cardine), che vive due consapevolezze: quella del disastro circostante causato e quella che occorre per saper proporre il gesto necessario alle due bambine perché escano da quel tilt, perché abbiano un esempio per vivere oltre il tilt, scavalcato il tilt. Che Emad me l’abbia concessa volendo in questo modo partecipare al racconto che l’album si prefigge, è un motivo aggiunto di grande orgoglio e privilegio. ??
Parliamo di Roma. Prendo a prestito le parole che hai consegnato a Tosca. Roma in questo disco l’hai sgridata, l’hai condannata, l’hai giudicata, ma poi l’hai perdonata. Roma in qualche modo ha scritto questo disco o Pino Marino l’ha scritto per scappare da Roma?
Nessuna fuga. Roma rappresenta. L’ho usata da romano, con cognizione di causa diretta, perché senza dubbio è l’esempio più caotico di molte facce. L’invettiva che vive in Calcutta (prima traccia dell’album) è riservata al degrado comportamentale, al disastro causato dalle pessime condizioni di salute del rispetto e soprattutto alla mancanza di una capacità fondamentale, quella di saper comprendere l’altro diverso da sé, spinta ad un punto tale da riconoscere nell’altro non compreso, una vera e propria forma nemica. Roma rappresenta anche questo, lo confermo. Ma Roma è anche il suo opposto, questo il suo caos. Quindi nella traccia numero 9 (Roma bella) ho affidato a Tosca la storia di un patto al femminile, fra la protagonista e la sua città, un’alleanza così forte e consapevole da riuscire a cambiare il finale di una storia già scritta (in questo particolare caso pucciniana). Ascoltando la canzone, sarà tutto più chiaro, perché questo è il vantaggio che vive nelle canzoni: l’essenza raccolta in tre appuntamenti, la scrittura, l’interprete (altro orgoglio personale) e i pochi minuti in cui tutto ha modo di dipanarsi, quel tempo breve in cui tutto rimane a vista.?
Ci sono momenti di grande canzone d’autore classica. Ma ci sono anche momenti di un suono quasi indie-pop. C’è l’elettronica sospesa ma c’è anche quel modo di fare popolare di un tempo. Sinceramente non penso mai troppo al suono quando ascolto questo disco. Tu che ci hai dovuto pensare, a cosa hai guardato per dirigere la nave?
Credo di poter dire che la mia scrittura, il nesso fra analisi e riproduzione, la scelta dei vocaboli, dei suoni interni alle melodie e l’innesco con l’immaginario, non siano mai cambiati e non subiscano (o godano) di influenze di moda, tendenza e costume. Il versante che più di altri accoglie le suggestioni circostanti, anche se puntualmente personalizzato, sia proprio quello degli arrangiamenti. Ma è un versante che in questo lavoro ha goduto della presenza di Fabrizio Fratepietro, che ha prodotto l’album in studio e con me ha vestito tutte le storie nel disco raccolte.
??Pensi che scuoti l’anima e la lingua delle persone? Pensi che un disco sia sufficiente o che la sua poesia resti confinata nelle belle cose da mettere su un comodino o dentro la teca “digitale" in salotto? Non lo chiedo a Pino Marino, lo chiedo al tuo occhio che vede la gente che vive attorno a tutti dischi del nostro tempo.
Non so risponderti concretamente, ma posso dirti che io credo rigorosamente nella biografia collettiva che andiamo raccontando e che ogni lampadina accesa su questo tipo di scelta, ne spenga una all’ossessiva tendenza di esporre l’individuale. Siamo spinti e sollecitati a parlare del nostro problema, del nostro personale disagio, del lavoro, della casa, delle incombenze esaltate a necessità divulgativa, perché tutti ci comprendano. Sinceramente credo che ciò che vada compreso e raccontato siano proprio i “tutti” altrimenti chiamati all’ascolto di un singolare pippone (il termine ha un’accezione popolare di facile traduzione e non ne ho trovati altri adeguatamente efficaci). La scelta del linguaggio, per quanto mi riguarda, non percorre le strade del facilmente comprensibile perché ne sia facilitata la collocazione. Il linguaggio è una proposta viva, se mai arriverà a qualcuno ci arriverà da viva e non da morta o in sagoma di cera somigliante a riconoscibilità altre.
??Che rapporto hai con la libertà?
So che lei ha un buon rapporto con me, si permette delle confidenze e degli esempi che mi danno la sensazione di un certo privilegio. Io nei suoi confronti sono molto più piccolo e difettoso, quindi procedo per tentativi. Dovresti chiedere a lei. ??
Potrei continuare per giorni lo sai? Ma mi fermo. Ti ho fatto questa domanda perché “Tilt” è un disco di libertà. Per me ovviamente, per te invece? Per te, che oggi lo riascolti, “Tilt” che disco è?
A venti anni dal primo album pubblicato - “Dispari” - “Tilt” per me è anche un disco storico, testimone concreto di un viaggio bellissimo (bellissimo in quanto libero). La Statua della Libertà (traccia numero 7), inizia la strofa con la visione della Statua della Libertà che libera non può essere (se bloccata con i piedi in un basamento di cemento armato), quindi attenzione a rappresentare la libertà in una figura bloccata, in un simbolo con basamento inamovibile. Anche io potrei continuare a parlare per giorni di questo lavoro, ma una sola cosa voglio aggiungere ora a quanto già detto: grazie per le preziose domande e per la visione che tu hai di lui, quella che dalle tue domande affiora.