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REVIEWSLE RECENSIONI
08/10/2019
Joseph
Good Luck, Kid
Un connubio misurato di strumenti acustici, elettronica ed elettricità, oltre al perfetto interplay delle tre voci, rappresentano il piatto forte della casa, e nonostante non vi sia nulla di davvero sorprendente il risultato finale è credibile e molto piacevole

Quelle delle Joseph è un nome praticamente sconosciuto alle nostre latitudini, anche se negli States, paese da cui provengono, si sono create un discreto seguito e sono molto chiacchierate da parte della stampa specializzata. Il terzetto proviene da Portland (Oregon) ed è composto dalle tre sorelle Closner, Natalie, Allison e Meegan.

Il primo album, Native Dreamer Kin, interamente autoprodotto, è uscito nel 2014, e ha subito messo in luce le doti della band, tanto che il secondo disco, I'm Alone, No You're Not Was, datato 2016, è stato rilasciato sotto l’egida ATO Records e prodotto da Mike Mogis, membro dei Bright Eyes e produttore prolificissimo (First Aid Kid, Conor Oberst, Pete Yorn, Cursive, etc.). Per quanto vengano spesso etichettate come folk band (per l’uso anche di strumenti acustici e per qualche vaga sonorità roots), è chiarissimo dall’ascolto di questo nuovo Good Luck, Kid che le Joseph si muovono in ambito (indie) pop. Che poi indie, che ho messo di proposito tra parentesi, non sarebbe nemmeno un termine troppo corretto, visto che le tredici canzoni che compongono la scaletta del disco sono incredibilmente mainstream. Per cui, connotatelo un po' come volete, ma quelle del terzetto americano è pop: radiofonico, prevedibile e zeppo di citazioni.

Eppure, questi brani, che a un ascoltatore distratto potrebbero apparire di poco conto, hanno dalla loro due punti di forza che li rendono estremamente piacevoli: dei ganci melodici che acchiappano alla velocità della luce e degli arrangiamenti davvero brillanti (produce Christin “Leggy” Langdon), che grazie a pochi elementi ben inseriti (una tastiera, qualche di pianoforte, un lick di chitarra) riescono a risollevare le sorti di brani altrimenti parecchio ovvi.

Un connubio misurato di strumenti acustici, elettronica ed elettricità, oltre al perfetto interplay delle tre voci, rappresentano il piatto forte della casa, e nonostante non vi sia nulla di davvero sorprendente il risultato finale è credibile e molto piacevole. L’iniziale Fighter, ritmica pulsante, innesti di elettronica e quello splendido suono di tastiera che compare nel ponte, è un singolo che si fa ricordare e fa venire in mente Sia (Chandelier). Nella title track entrano in gioco le chitarre e la canzone è attraversata da una tensione nervosa che la rende una degli high light del disco. E’ comunque davvero difficile resistere al potenziale melodico di questo disco, e brani come In My Head, nella sua adolescenziale semplicità, Presence, dagli accenti rock (e con un riff di chitarra che fa esclamare immediatamente: Black Keys!) o Shivers, con quella progressione che suggerisce sottotraccia la Kate Bush di Running Up That Hill, sono episodi riuscitissimi e che dimostrano tutto il talento di queste tre ragazze.

Good Luck, Kid non finirà certo nelle classifiche di fine anno, ma se avete voglia di ascoltarvi un buon disco pop che non ha alcuna pretesa artistica se non quella di divertire, le Jospeh sapranno darvi soddisfazione.


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