“La chiamavano Génie la matta. A volte attraversava il paese a passi svelti con al braccio il cestino di legno in cui metteva sempre il sacco di iuta che le serviva da cappuccio in caso di pioggia. Io le correvo dietro con tutta la forza delle mie gambette”.
Génie la matta, pubblicato nel 1976 e vincitore del Prix de Deux Magots, è il secondo romanzo di Inès Cagnati (Monclar-d’Agenais, 1937 - Orsay, 2007). Figlia di contadini veneti emigrati in Francia, venne naturalizzata alla nascita. Eppure, ha sempre vissuto l’ottenimento della cittadinanza come una tragedia. Infatti, definiva se stessa un’outsider, in quanto si sentiva priva di un’identità ben precisa: non era francese, ma non era più nemmeno italiana.
Una vita difficile quella della Cagnati, segnata da stenti e sacrifici. Lo studio è stato un’ancora di salvezza, determinante per il suo riscatto sociale e culturale rispetto a quella che sembrava la storia di una vita già scritta, che l’avrebbe portata a lavorare nei campi come bracciante. Ha dovuto lottare per ogni singola conquista, piccola o grande che fosse, anche per imparare il francese, visto che in casa si parlava solo l’italiano. Anche riuscire a stabilire delle relazioni sociali è stato complicato, perché ha dovuto sconfiggere i pregiudizi legati alla sua condizione di immigrata. Eppure, grazie alla sua tenacia, è riuscita a diplomarsi e laurearsi, a trovare impiego come insegnante in un prestigioso liceo di Parigi e a pubblicare tre romanzi e un libro di racconti.
È evidente però che, nonostante i traguardi raggiunti, il suo vissuto l’ha segnata. Traspare chiaramente dalla trama e dal contesto dei suoi scritti che, come è stata lei stessa a raccontare durante alcune interviste, contengono molti spunti autobiografici.
Nell’intervista rilasciata a Laurence Paton (che potete trovare nelle pagine finali di Génie la matta) la Cagnati ha confessato di non aver avuto un’infanzia particolarmente felice e nei pochi filmati che circolano in rete è possibile scorgere una donna schiva, dai lineamenti duri, che si lascia andare raramente a un sorriso o a un'emozione. Anche il timbro della sua voce risulta fermo, monocorde, impassibile, esattamente come quello di Marie, l’io narrante di Génie la matta.
È proprio attraverso i ricordi di Marie che la Cagnati dà vita a un romanzo duro ma allo stesso tempo profondo e delicato, in cui il filo conduttore è l’amore sconfinato di una figlia per sua madre.
Génie appartiene a una delle famiglie più in vista del paese. La sua colpa è quella di aver deciso di non sposare l’uomo che l’ha violentata e messa incinta quando aveva 17 anni. Giudicata e additata da tutti per questo gesto di ribellione, come se fosse più colpevole dello stupratore, incompresa anche dai suoi genitori, più interessati a preservare il buon nome della famiglia che il benessere della figlia, scivola verso una forma estrema di isolamento sociale, che porta tutti a schernirla con l’appellativo di “matta”.
“Se dovevano parlare con lei, dicevano: «Génie la matta». Mai: «Eugénie». Né: «Signora». Sempre: «Génie la matta».”
Genie va a vivere in campagna, in una casa isolata e fatiscente, immersa tra i salici, e si spacca la schiena con lavori pesantissimi di ogni tipo, anche poco edificanti, pur di sfamare se stessa e soprattutto la piccola Marie. Lavora tutti i giorni, strenuamente, come bracciante, nei campi e nelle fattorie, a testa bassa. Sfruttata e sottopagata.
Eppure, un tempo, prima di “quella grande disgrazia”, era una giovane donna gioiosa e spensierata, “cantava dalla mattina alla sera”, coccolata e viziata, soprattutto da suo padre, che sembra l’unico a provare ancora un po’ di amore (e rimorso) nei suoi confronti, a differenza della madre, che invece manifesta solo odio e rancore.
Ora, invece, di quell’allegria non è rimasto più nulla, è svanita, così come è svanita la sua fanciullezza e il disincanto. Se ne sta sempre in silenzio. La sera piange, ripetendo in continuazione, come fosse una cantilena: «Non ho avuto niente, io». E la piccola Marie, che la ama più di ogni cosa, incapace di comprendere fino in fondo la disperazione di sua madre, le risponde tutte le volte: «Hai me».
L’amore di Marie per la madre, a tratti, sembra quasi ossessivo, così come la sua paura di essere abbandonata. Le corre dietro con tutta la forza delle sue gambette, si apposta per vederla tornare a casa, la cerca, in attesa di un contatto fisico, quando si mettono a letto la sera. Gènie, invece, non fa altro che respingerla, solo raramente si lascia andare. Sembra quasi insofferente nei confronti della figlia, ma in realtà, non è così. I gesti d’affetto semplicemente non le appartengono, non sa come padroneggiarli, eppure, prendersi cura di quella creatura è la sua priorità. È lei che le dà la forza di continuare a vivere e sopportare, ed è solo per lei, per riuscire a garantirle gli studi e un futuro dignitoso, che deciderà, a un certo punto, di accettare una proposta che la porterà a cambiare la sua vita.
Non voglio svelarvi oltre della storia di queste due donne sfortunate, le cui vite, per certi versi, sembrano quasi sovrapponibili nelle disgrazie, soprattutto non voglio anticiparvi nulla su un finale che vi turberà molto, lasciandovi senza parole.
Génie la matta non è un libro semplice da affrontare, non è una lettura leggera, richiede una certa predisposizione d’animo e di umore, perché le tematiche trattate pongono in uno stato di avvilimento e impotenza.
Lo stile è asciutto, senza fronzoli, mentre il tono è rassegnato, eppure totalmente esente da qualsiasi forma di pietismo. In certi frangenti il testo appare ridondante, ma tutto è funzionale alla narrazione, che risulta ancora più penetrante ed efficace e, infatti, rende perfettamente l’idea di una vita che scorre lenta, sempre uguale, in sintonia e allo stesso tempo in balia delle stagioni, tra desolazione e mille difficoltà, perché certe vite, più di altre, sembrano condannate senza appello alla sofferenza. Come se per loro non esistesse altro che tormento.
Una lettura indubbiamente consigliata, ma preparatevi, perché la Cagnati non utilizza filtri e il dolore delle protagoniste, inevitabilmente, diventerà anche il vostro.
“Pazienza, pazienza
pazienza nell’azzurro!
Ogni atomo di silenzio
è la possibilità di un frutto maturo!”
Paul Valéry