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REVIEWSLE RECENSIONI
Glue
Boston Manor
2020  (Pure Noise Records)
IL DISCO DELLA SETTIMANA PUNK ALTERNATIVE ROCK
9/10
all REVIEWS
25/05/2020
Boston Manor
Glue
Schietto, oscuro, diretto e subliminale. I Boston Manor mettono in discussione il mondo che li circonda con consapevolezza, eleganza e mordace poesia. Glue è uno dei dischi del 2020 che ho più atteso e probabilmente ha già un posto nella mia classifica di fine anno. A chi sa mettermi i brividi così, come negarlo?

Una delle cose più belle che può accadere ad un gruppi di giovani artisti è quello di evolvere. Una delle più belle che può fare chi segue quegli artisti è ammirare con passione il loro percorso, lasciandosi travolgere da ciò che creano.

Ancora di più se ad ogni nuovo album li si vede non solo migliorare, ma raggiungere sempre più ciò che aspirano ad essere, a livello di suoni, composizione, testi, capacità comunicativa ed evocativa.

Se poi tutto questo è fatto anche con un brillante mix di originalità, eleganza, aggressività, riflessività e voglia di cambiare il mondo, fregandosene di qualunque opinione o aspettativa esterna, come non amare sia il prodotto sia chi ne è l’artefice?

Glue non era un album facile da realizzare. Arrivava dopo il successo di Welcome to the Neighbourhood (2018), di cui abbiamo parlato qui, e portava con sé un denso nugolo di attese, pronte a consacrare o affossare i cinque giovani inglesi. I Boston Manor, però, non si sono fatti tangere e hanno pensato solo a chi volevano essere, a cosa volevano creare e a cosa volevano comunicare.

Il risultato è un disco schietto e senza compromessi, della stessa oscura eleganza del precedente, ma a tratti più aggressivo (più scream, più chitarre, più punk e post-hardcore), ancora più sensuale e subliminale, più riflessivo e quasi abrasivo. Glue si incolla all’anima, in alcune tracce strappandone dei pezzi, con la ferma intenzione di lasciare un segno, far pensare e sì, anche farci arrabbiare.

Henry Cox, voce e penna del gruppo, lo dichiara apertamente: «L’obiettivo dell’intero disco è far arrabbiare le persone. Fargli dire “Bene, questo mi fa incazzare, come posso cambiarlo? Qual è la cosa che posso fare personalmente, che posso iniziare a fare anche oggi, per fare la differenza?” Perché possiamo fare di meglio. Dobbiamo solo iniziare».

I singoli di Glue (probabilmente tra i migliori usciti in questa prima parte del 2020) rappresentano perfettamente non solo questo obiettivo, ma anche il livello di bruciante consapevolezza con cui Cox affronta i problemi della società, fatto di un lirismo narrativo che mette l’ascoltatore direttamente nei panni delle persone coinvolte. Viscerale, violento e vulnerabile. Fiducioso, insinuante e catartico.

“Everything Is Ordinary”, che dà anche l’abbrivio all’album, parla di come siamo tutti ormai desensibilizzati ai problemi del mondo. Abbiamo visto tutto, siamo un branco di individui che si sente un manipolo di marinai navigati, che ormai non riescono a preoccuparsi o spaventarsi più di nulla, per cui ormai qualsiasi cosa accada è normale. Crisi ambientale? Crisi sanitaria? Crisi economica? Crisi politica? Un attimo di brivido, qualche meme divertente e poi è tutto ordinaria amministrazione. La nostra possibilità di fare la differenza? Non pervenuta.

«Indossa il tuo sorriso di plastica. Perché non ti nascondi nel grigio per un po’? Siamo semplicemente intorpiditi? Guarda cosa potresti essere stato, cosa potresti essere diventato.

Stiamo bruciando tutto per il brivido di farlo. Non cercare di fermarmi. Prendi la tua medicina. Non sentirai nulla. Non cercare di fermarmi. È tutto ordinario ora».

In fondo non siamo forse dentro sogni di plastilina? Tutto è intrattenimento e al tempo stesso ogni arte è semplicemente un contenuto buono solo a essere virale. Siamo costantemente bombardati da informazioni e suggestioni e nulla viene realmente assimilato o apprezzato. Il tempo di un pensiero fugace nei casi migliori e poi avanti un altro. Ciò che è stato non conta più nulla. Un gioco nuovo per i prossimi secondi per favore, adatto e adattabile a ciò di cui ho bisogno adesso, tanto tra poco non avrà più valore nemmeno quello. “Plasticine Dreams”.

«Sono piuttosto ansioso e so che lo dimostro. La TV ha detto che avrei dovuto chiedere aiuto. La TV ha detto che sono povero e brutto. Voglio apparire diverso come tutti gli altri, come tutti gli altri» (“1’s & 0’s”)

Con “Ratking” si parla della nostra incapacità di entrare in empatia l’uno con l’altro. Pensiamo di essere tolleranti e comprensivi, ma siamo gonfi di pregiudizi, così incorporati in noi che nemmeno sappiamo più riconoscerli, pronti a ridicolizzare o attaccare ciò che consideriamo diverso o non consono. Non ci rendiamo conto che non siamo altro che in un “ratking”, un fenomeno in cui le code di diversi ratti si intrecciano e si bloccano. Questo non fa che farli lottare più violentemente gli uni contro gli altri, stringendo ancora di più il nodo, fino a che non sono più in grado di muoversi e muoiono. Vogliamo forse fare la stessa fine?

Se arriviamo a “On A High Ledge” il cuore, invece, si ferma. Il gioiello spezza-anima del disco parla con una poesia minimale, una costruzione sonora magistrale e una realizzazione video di vivido e brutale impatto, della prevalenza del suicidio maschile nella società di oggi. Nasce come una dedica ad un uomo suicida di cui Cox è stato testimone da bambino. Crescendo, Henry è sempre stato polemico rispetto a cosa fosse consono che un ragazzo facesse. Non gli è mai piaciuto il calcio e a sei anni dipinse la sua bicicletta di rosa. “Sii un uomo”, cosa vuol dire? Che non puoi piangere, non puoi condividere i tuoi sentimenti, non puoi essere vulnerabile, non puoi chiedere aiuto perché altrimenti sei debole? Devi nasconderti per sempre dietro una maschera che lasci trasparire solo le qualità che la società considera accettabili per un essere umano di sesso e genere maschile? Ma che prigione è? E soprattutto, che senso ha?

Incredibilmente, il giorno dopo che questa canzone era stata scritta, uno dei ragazzi della band stava guidando verso casa e vide un uomo su un ponte sull'autostrada che stava per saltare. Si allontanò rapidamente dalla strada e riuscì a parlare con lui fino all'arrivo di un'ambulanza. L’uomo non si buttò. Le coincidenze della vita a volte sono strane, non è vero?

La disperante tristezza e l’isolamento di “Terrible Love” che vede Cox confrontarsi con il suo più grande nemico: se stesso. Quanti di noi potrebbero dire lo stesso? Se hai pensato “io sì” sei in buona compagnia.

Il punk al vetriolo di “You, Me & The Class War”, che paragona il crescente divario tra la generazione più giovane e quella più anziana della Gran Bretagna a una relazione violenta: «Cosa vorresti dire, cosa mi faresti, se aprissi la bocca?».

Ogni traccia nasconde un universo di significato dei testi e un microcosmo di influenze nei suoni. Elettronici, martellanti, meditabondi, morbidi, angoscianti, distorti, sensuali, vulnerabili e sinceri. Ognuno si sussegue senza tregua, tra parole sussurrate e urla senza quartiere, fino alla sintesi definitiva, l’incredibile “Monolith”, che in cinque minuti e mezzo riesce a passare dal più aggressivo scream post-hardcore alla più poetica e lieve chiusa al pianoforte, sintetizzando nel coro il migliore spirito con cui dovremmo uscire dall’ascolto del disco: «Ehi tu, vaffanculo anche a te. Farò quello che voglio quando voglio»

I Boston Manor hanno realizzato un nuovo capolavoro. Intimo, viscerale, emotivo, lucido, arrabbiato, sarcastico, fragile, oscuro e violento. Molteplice come il nostro animo, come i tempi in cui viviamo, come la quantità di sentimenti che siamo capaci di provare e come la voglia che dovremmo avere di mandare affanculo tutte le regole che ci impediscono di vivere in un mondo e in un modo migliore.

Da Glue uscirai triste e felice, forte e provato, capito e ferito, ma incredibilmente più vero e determinato. È un viaggio e un augurio, e sicuramente uno degli album di questo 2020. Fatti questo regalo, merita.


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