Da molti considerato tra i migliori autori del nostro giallo/thriller e del filone horror italiano a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, Mario Bava è fuor di dubbio tra i registi che hanno lasciato un segno nel nostro cinema di quegli anni, aprendo le porte dei generi ad autori arrivati dopo di lui che poi ne supereranno la fama (pensiamo al solo Dario Argento ad esempio).
Gli orrori del castello di Norimberga, come è facile intuire dal titolo (Baron blood per l'estero) è proprio uno dei tasselli del corpo d'opera horror di Mario Bava, qui supportato dalle musiche di Stelvio Cipriani e da un bel lavoro sulla fotografia del quale si incarica lo stesso Bava, tutti elementi che rientrano nel nobile artigianato del cinema di genere italiano tanto in voga in quegli anni (qui siamo nei primi Settanta).
Non tra le opere più conosciute e meglio riuscite di Bava, Gli orrori del castello di Norimberga rimane comunque un buon esempio di quel cinema bis che nel corso del tempo ha trovato orde di estimatori, spesso a posteriori, e che non manca, come in questo caso, di mostrare ingegno e buone trovate visive, realizzate con poco ma capaci di sopperire a passaggi di sceneggiatura frettolosi o in generale a una fase di scrittura non sempre così forte o all'altezza di produzioni più blasonate.
Nonostante il castello del titolo richiami la città tedesca qui siamo in Austria, dove risiede il professore universitario Karl Hummel (Massimo Girotti). Il professore viene raggiunto da un suo giovane nipote, Peter Kleist (Antonio Cantafora) il quale vorrebbe approfittare della visita allo zio per studiare la singolare storia di un vecchio avo del quale Peter è un diretto discendente. Questi era il vecchio proprietario del castello di Norimberga, ora in fase di ristrutturazione e di studio, il Barone Otto Von Kleist (Joseph Cotten) il quale, sembra, in vita fosse stato un feroce assassino poi maledetto da una strega, una maledizione che portò il Barone a morire tra atroci sofferenze, piagato nel corpo come lo era nella mente.
Tra le antiche carte di famiglia Peter ha trovato una pergamena che descrive l'incantesimo per riportare in vita il Barone e quello per farlo tornare nuovamente nel mondo dei più, ne parla con lo zio e con la bella Eva Arnold (Elke Sommer), una studiosa che sovrintende ai lavori di restauro del castello. Così per scherzo, nella stanza in cui morì bruciato il Barone, Peter ed Eva compiono il rito per portare indietro l'antenato del giovane, purtroppo per loro, e non solo, la vecchia pergamena non è solo il viatico per un'innocuo e macabro scherzo bensì il tramite per spalancare le porte sull'orrore.
Come già fatto con La ragazza che sapeva troppo Bava apre il film con una sequenza di volo, quella dell'aereo con cui Peter arriva in Austria; le musiche di Cipriani sono qui allegre e riportano alla mente le soluzioni più leggere e frivole in voga negli anni Settanta (e successivi) in tema di score musicali. Oltre a dare una connotazione temporale molto precisa il lavoro di Cipriani anticipa anche un poco i toni scanzonati con i quali da principio i protagonisti prendono tutta la faccenda della pergamena e della maledizione.
Fin da subito Bava adotta movimenti di regia interessanti e vivaci, se dal punto di vista della scrittura e appunto dei toni il film appare "leggero" da quello formale è innegabile che il regista e fotografo anche qui abbia messo impegno e mestiere a disposizione della produzione, denotando un certo talento che non si può non riconoscergli. La Sommer illumina la scena quanto e più della fotografia di Bava, splendida comprimaria che compensa con un volto angelico una recitazione tutto sommato ordinaria, ci regala anche una versione in abito tradizionale che si sposa con i primi toni meno cupi del film.
Nei momenti salienti Bava e Cipriani riescono a creare quel giusto tocco di tensione aiutati da scenografie interessanti, gli interni del castello in primis, si lavora molto bene con l'uso delle luci, della nebbia (a volte fin troppo invasiva), con gli oggetti di scena come il quadro del conte e con il trucco dello stesso Barone, avvolto in mantello e cappello a tesa larga d'epoca, sfigurato orrendamente e visibile sempre solo di sfuggita. Non manca nemmeno il product placement con un bel distributore di Coca Cola all'interno del secolare castello.
Gli orrori del castello di Norimberga pecca un po' in fase di scrittura, alcuni passaggi sono affrettati, non ci sono momenti truci ne troppe concessioni all'orrore, non ci si spaventa mai. Nel complesso il film rimane un pezzo di quella nostra storia del cinema (di serie b) che ogni tanto si ripercorre volentieri, magari non ci si trova il guizzo particolare ma almeno ci permette di tornare alle atmosfere e all'artigianato di quei tempi che tutto sommato non erano poi così male.