Ho conosciuto Gianluca Lo Presti solo attraverso le sue onde sonore e attraverso il flusso di coscienza racchiusi nei suoi dischi. In particolare lo conobbi con il moniker Nevica e con un disco lisergico e introspettivo come “Sputnik”. Lì trovai il rumore come suono digitale, il nirvana come unica via di codifica interiore. Lì trovai come forme non forme e non predicibili a priori acquisivano un senso estetico a limitare da quello che definiremmo di matrice pop. Ed oggi par che sia stato oltrepassato questo traguardo lasciando che la forma sia trattabile come può trattarsi una forma numerica, quindi predicibile, quindi osservabile con occhio teso al futuro e capace dunque di poterlo decifrare appena prima che questo accada. Ed è un linguaggio che NEVICA porta avanti per tutte le sue nuove scritture che raccoglie in questo lavoro titolato “Tengo”, nuovo disco, secondo atto di una trilogia dedicata all’anima, in cui coesistono nuovi rimandi a Murakami e nuove lisergiche vie di fuga dal sé.
Ecco due punti che mi preme investigare: vie di fuga dal sé come a dire, voler oltrepassare le maschere di noi stessi per conoscersi, anzi riconoscersi. Ecco che Nevica, attraverso la scrittura, cerca il connubio tra quel che mette in scena ogni giorno e quel che di sé, forse, non ancora è consapevole.
Sono molteplici le personalità in gioco dentro ognuno di noi, molteplici le maschere, molteplici le vie di fuga. Ricongiungerle assieme, non contrapporle e non soffocarne alcune in luogo di altre, è l’approdo in quella che definiremmo come lui armonia superiore, completamento universale. E poi torno a sottolineare il rimando letterario, una costante (Murakami) che sembra tradursi in suono: brani sospesi in realtà non percepibili al contatto, non al quotidiano, non al normale, brani come i romanzi che non si risolvono nel più sfacciato dei modi dentro una chiusa dedita all’estetica… brani come romanzi che non si completano con la dimostrazione di sé che mettono in scena. Brani come romanzi che sembrano monolitici, fermi e compatti, a volte pregni di visioni e di linguaggio acidi, altre volte sottilmente prevedibili di un pop che forse non mi sarei mai atteso dalla penna di Nevica. E se l’avessi potuto prevedere, avrebbe dimostrato l’esistenza di un io solo e risolto, una sola maschera, un divenire soltanto. L’incontro degli opposti per generare l’armonia superiore. Come a citare di nuovo quel gusto superiore di Rocchi e Tofani.
“Tengo” è un disco di elettronica digitale. Nevica è un artista in carne ed ossa. Qual sia la sua faccia, quella vera che governa la scrittura e il messaggio, dovremmo ancora scoprirlo. Che ognuno pensi dapprima a scoprire se stesso… ad ognuno la sua armonia superiore.
Dopo averti conosciuto ho letto “La ragazza dello Sputnik”. Poi ho letto “Norwegian wood”. Ora a breve leggerò anche la trilogia di “1Q84”. Nei romanzi di Murakami ho sempre trovato una sospensione metropolitana, ho sempre trovato personaggi che erano in bilico tra realtà e finzione, perduti in proprie linee per niente aderenti alla concretezza della vita che invece, Murakami, pare narrare con estrema verità. In “Sputnik” di realtà ne ho vista poca. Qui in “Tengo” ne ho percepita proprio tanta. Che sia un bisogno di trovare un incontro con gli altri?
Sì, senz'altro anche questa può essere una chiave di lettura di questo disco che peraltro ne ha tantissime. “Tengo” nasce dal senso di riscatto verso le nostre mancanze, le nostre sconfitte quotidiane è normale che per contrappasso ci sia un gran bisogno di contatto e di comunicazione. Più che altro gira intorno al bisogno primario di essere accolti.
Nell'universo surreale di Murakami che in realtà è più vicino alla vita vera di quanto non sembri, tutti i personaggi sono alla ricerca di un senso preciso della loro missione, della loro identità. Riuscire ad entrare in contatto con gli altri aiuta a sviluppare la propria identità in quanto “mi delimito i confini”, ma anche io stesso assumo significato in quanto individuo in mezzo ad altri individui.
Cos’è per te l’astrazione? Cioè, restando proprio sul tema di prima, realizzare brani come “Crisalide d'aria” o come “Il nostro suono” significa anche essere persone diverse o sbaglio?
Penso significhi avere aspetti diversi dentro se stessi, differenti io come dice Scardovelli. Personalmente Nevica è sia l'una che l'altra cosa, “Crisalide” ne rappresenta forse la parte più astratta, più spirituale volta dentro di sé, “Il nostro suono” quella più a contatto col mondo esterno. Ma entrambe sono complementari e necessarie.
Il “NOISE” che ingrediente è nella fase di composizione? Lo hai abbandonato quasi totalmente… quasi… almeno mi pare di capire… e non solo per quanto riguarda il nome…
In realtà non l'ho proprio abbandonato ma lo uso in modo differente rispetto a “Sputnik”. Laddove prima era un modo per rappresentare la complessità e i conflitti del mondo circostante, ora è diventato un terreno spartiacque, una zona franca, un purgatorio fluttuante nel quale il brano si trasforma quasi implodendo per assumere una nuova veste. Vedi esempi come “Tina Swaraj” o “Tengo (ghost writer)”.
Considerare il rumore come forma musicale mi ha sempre affascinato e credo che rimarrà una costante anche in futuro nella musica di Nevica.
Però alla fine dimmi: quanto ti senti libero di essere e quanto alla fine sei costretto a rispettare leggi armoniche e melodiche per codificare la tua espressione? Compromesso o equilibrio?
Direi assolutamente equilibrio. Riuscito o meno non sta a me giudicarlo ma parto sempre dal presupposto che siccome la musica rappresenta la più profonda espressione di ciò che sono, non accetto alcun tipo di compromesso nel rappresentarla. Stare dentro a regole precise e omologanti non fa per me.
Tornando alla domanda di prima il noise appunto serve per ribadire una non accettazione delle regole, un caos creativo che prevale sulla struttura e sul compromesso.
Mi ha incuriosito molto "TINA e SWARAJ”, non solo come brano ma soprattutto come filosofia che lo governa. Forse, con un pizzico di pregiudizio, penso sia davvero il nucleo di questo disco, non trovi? Anche questo incontro tra psichedelia e forme popolari, tra suoni analogici e derive digitali…
È un brano molto rappresentativo di questo disco, sono d'accordo. Parla della ricerca dell'equilibrio tra i nostri tanti io, le nostre sub-personalità che spesso sono in contrasto tra di loro. Per questo serve un io adulto che governi e guidi tutti gli altri in modo armonico. Swaraj è una parola che usava Ghandi per spiegare il concetto di “governo del sé”. Da un punto di vista sonoro è esattamente come dici: un incontro tra gli opposti che si sintetizzano in un’armonia superiore.
Nel riascoltare l’opera finita, magari anche dopo qualche tempo, ritrovi NEVICA e il suo pensiero? Ho sempre avuto l’impressione che la filosofia espressa in forme così istintive avesse sostanza e valore solo in quel momento - cioè come se la forma stessa, frutto dell’istinto, avesse senso e valore in quel momento preciso. Come a dire che, passato l’atto creativo e quindi l’istinto che lo governa, passi anche l’ottica e quel certo modo di guardare all’opera stessa…
No, non è così.... o almeno è cosi solo in parte.
Se è vero che la musica è una fotografia del momento in cui l'artista vive, ci sono delle componenti spirituali e psicologiche molto profonde che essa veicola, parafrasando Battiato oserei dire quasi sacre, componenti che esistono a prescindere fuori dal tempo e dallo spazio. Ecco perché la musica ha questo potere universale. Se è vero che tutto scorre, in una canzone puoi catturare un momento e renderlo eterno. Ecco perché se riascolto certe mie cose anche dopo anni magari sento che è cambiata la forma ma non la sostanza. Ed è bellissimo che sia così.
A chiudere: Gianluca Lo Presti e Nevica, sono la stessa persona? Si somigliano? Sono due entità che vivono vite parallele e incomunicabili?
Assolutamente sì, sono la stessa persona proprio perché come dicevo prima non amo indossare maschere o camuffamenti, con la musica esprimo il 100% di me stesso ed è per fortuna l'unico spazio in cui posso farlo liberamente, senza essere giudicato. Quindi possiamo concludere che nel mio caso il musicista e l'uomo coincidono perfettamente.
Nel ringraziarvi per questa intervista volevo farvi un plauso per le domande che ho trovato molto originali e interessantissime. Segno che avete compreso profondamente il significato di questo lavoro.