Rumoroso, cattivo, urgente: tre aggettivi che si adattano molto bene all’assalto sonoro apparecchiato dai ’68. Sono passati solo sei mesi da quando il duo originario di Atlanta ha pubblicato il suo ultimo lavoro - l'EP Love Is Ain't Dead - ma si vede che i due bad boys avevano materiale a sufficienza per misurarsi anche sulla lunga distanza. Con Give One Take One, l’impatto ruvido e immediato, la forza stridente, i riff grunge e punk affilati con la lama del delta blues e le voci rabbiose, tutte, queste, caratteristiche peculiari della band, raggiungono un livello, come mai prima, coeso e al contempo diversificato.
Ogni canzone di Give One Take One, infatti, scatena un'esperienza sonora diversa, ma quegli elementi fondamentali appena elencati e sempre presenti, blindano ogni brano in un’armatura temprata dai riff urticanti delle chitarre di Scogin e dalla furia selvaggia di un’implacabile batteria. Così, dall'introduzione cruda e blues di The Knife, The Knife, The Knife fino alla chiosa straniante e drammatica di The Storm, The Storm, The Storm, la potenza del groove risucchia l’ascolto in una spirale noise magmatica e caotica.
La coesione del duo è calibrata e perfettamente in sincrono. La voce di Josh Scogin (autore di tutte le canzoni in scaletta) è contemporaneamente sfrenata e controllata, a tratti volutamente stonata, figlia di un’anarchia apparentemente folle ma in realtà plasmata e instradata su un percorso sonoro ben delineato. Un timbro che può essere alternativamente apatico, cool, o carico di maniacale elettricità, che forgia ogni nota, cantata o gridata, con straordinaria consapevolezza. La gamma stilistica che prende forma con l’urlo selvaggio che apre il disco, riesce così ad adattarsi perfettamente tanto alla melodia sfilacciata di Life and Debt che alla ferocia hardcore di Lovers in Death.
Dal canto suo, Nikko Yamada plasma il suo drumming, sposandolo con naturalezza al songwriting schizzoide e alla performance vocale di Scogin, e sfodera un’incredibile varietà di groove, a seconda del mood che si trova a interpretare. Stupisce, quindi, veder convivere la forsennata velocità di Bad Bite con la forza calibrata di Nickels and Diamonds (qualcuno ha detto Stooges?), che risponde con vigore al richiamo della chitarra surf rock di Scogin. Non solo. In The Silence, The Silence, The Silence, Yamada s’inventa anche un ritmo sincopato, mentre nel deragliare sonico di What You Starve e Nervous Passenger sfodera un’incredibile autorevolezza ritmica, tenendo la mano ferma quando tutto intorno a lui brucia in un ferale divampare di fiamme.
Non c’è alcuna posa o forzatura, nelle dieci canzoni di Give One Take One: la cattiveria e la sporcizia funzionano solo perché questi due ragazzacci possiedono un approccio destabilizzante ma sincero, hanno idee radicate (e radicali) e un'identità solida come la roccia. Fatevi risucchiare, allora dalle acque limacciose di questo vorticoso gorgo di rumore: alla fine, vi girerà un po' la testa, ma il divertimento sarà assicurato.