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REVIEWSLE RECENSIONI
02/08/2022
J.P. Bimeni
Give Me Hope
Un appassionato omaggio al soul anni'60, tanto prevedibile quanto divertente.

Se già non lo conoscete, le coordinate geografiche che delimitano in progetto musicale di J.P. Bimeni farebbero pensare a una proposta incredibilmente esotica. Lui, infatti, ha alle spalle una storia di emigrazione, essendo originario del Burundi, vive e lavora a Londra, e si fa accompagnare dai Black Belts, una band, i cui membri, arrivano dalla Spagna. Eppure, nonostante un fascinoso melting pot di nazionalità, il suono di questo secondo album, Give Me Hope, guarda con dedizione filologica dall’altro lato dell’oceano, ispirandosi alla black music d’antan che fece furore negli States, durante gli anni ’60.

Pertanto, se amate la musica nera, ma cercate qualcosa di sperimentale e moderno, o se vi eccitate con sonorità meticce, potete anche smettere di leggere subito questa recensione. Perché J.P. Bimeni, è quanto di più vintage e derivativo potete trovare oggi in circolazione. Il ragazzo, infatti, mette la sua voce straordinaria al servizio di un soul classicissimo, che si ispira ai grandi eroi del passato come Al Green e Otis Redding, tanto per citare due dei più grandi interpreti di questo genere musicale. In tal senso, Give Me Hope è un disco lineare, con pochissimi scarti rispetto alla narrazione principale: Bimeni è trasparente nella sua devozione, non fa nulla per nascondere le sue fonti d’ispirazione, non cerca ganci modaioli, ed è lontano anni luce da suoi colleghi coevi, come Michael Kiwanuka o Jon Baptiste, che battono strade alternative per rileggere con inventiva il passato.

Parte "Four Walls" ed è subito tutto chiaro: pezzone soul, teso, retrò, ritmica dritta e adrenalinica, confezionato da splendidi arrangiamenti in cui convivono archi e fiati. "Not In My Name" è un r’n’b brillante e divertente, "Find That Love" un ballatone strappa mutande, carico di fascino e di passione. Tutto prevedibile ma tutto davvero centrato.

L’unico scarto dall’immaginario vintage di Bimeni è rappresentato dalle ritmiche reggae della title track, una canzone sorniona al punto da entrare in testa fin dal primo ascolto. La seconda parte del disco, però, torna sui consueti binari, con lo splendido strumentale "Ghost City", groove irresistibile e un tocco Style Council nella cura degli arrangiamenti, mentre la divertita "Precious Girl" profuma smaccatamente di anni’60, "Mathematics" è un funkettone dal retrogusto afro e la conclusiva "Found A Goog Thang" gioca sul contrappunto fra hammond e fiati grassi per apparecchiare un altro, l’ennesimo, r’n’b irresistibile.

L’ascolto di Give Me Hope non riserva sorprese, giova ribadirlo, ne emergono tentativi di uscire dalla comfort zone di un elegante compendio di genere. Tuttavia, la voce calda di Bimeni, la mise en place luccicante di una band rodatissima e affiatata, e l’indubbia bellezza delle composizioni, ne fanno un ascolto piacevolissimo. C’è una divertita passione che attraversa la scaletta e un mestiere che va al di là del compitino e della mera replica di un suono. Tutto prevedibile, quindi, ma tutto anche incredibilmente divertente. Da provare.