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REVIEWSLE RECENSIONI
Girl Going Nowhere
Ashley McBryde
2018  (Warner Music Nashville)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ROCK
7/10
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13/04/2018
Ashley McBryde
Girl Going Nowhere
Un suono tipicamente americano e verace, talvolta affetto da citazionismo, in altri casi nobilitato da una grande passione che rende emozionante anche il prevedibile

Nativa dell’Arkansas, dove si è accostata alla musica fin da piccola, strimpellando la chitarra del papà, Ashley McBryde, dopo la laurea, si è trasferita a Nashville, città in cui ha cominciato a muovere i primi passi come songwriter. Due dischi e un Ep autoprodotti, la solita gavetta nei soliti locali del circuito country, e poi il fortuito incontro con Eric Church, che l’ha presa sotto la propria ala protettrice e l’ha fatta mettere sotto contratto dalla Warner Bros. Nashville.

Questo, in sintesi, il sunto di una fulminante carriera, culminata l’anno scorso con la pubblicazione del singolo A Little Dive Bar in Dahlonega, inserito dal New York Time fra le cinquantaquattro canzoni più belle del 2017. Un ottimo trampolino di lancio per la pubblicazione del disco d’esordio, uscito a fine marzo e prodotto da Jay Joyce, guru del rock americano, sodale di lunga data proprio di Eric Church e produttore, tra gli altri, di Patty Griffin, Cage The Elephant e John Hiatt.

Girl Going Nowhere, nonostante la provenienza nashvilliana e l’imprimatur di Church, è un disco molto meno country di quanto ci si potrebbe aspettare. Le undici canzoni in scaletta, infatti, alternano intense ballate a brani percorsi da ruspante elettricità, raccontano sentimenti di grana grossa ma incredibilmente sinceri, sono dirette, immediate e prive di fronzoli. Un suono tipicamente americano e verace, talvolta affetto da citazionismo, in altri casi nobilitato da una grande passione che rende emozionante anche il prevedibile.

La title track apre il disco all’insegna della nostalgia, chitarra acustica, la bella voce di Ashley e gli altri strumenti che entrano a metà brano, mentre fuori dal finestrino la highway si perde in un orizzonte al tramonto. Il tempo di cambiare chitarra e parte il rock pestato di Radioland, grintosa tirata dal sapore springsteeniano.

Procede così, Girl Going Nowhere, tra momenti morbidi e chitarre arroventate, e a tratti, non lo nascondo, è davvero un bel sentire. Southern Babylon è bluesata, sofferta e notturna, The Jacket rockeggia allegra e radiofonica, Livin’ Next To Leroy sfodera zampate sudiste e si chiude con il tiro incrociato di chitarre sferraglianti, mentre Home Sweet Highway chiude il lotto in bellezza con un mid tempo di sanguigno rock soul.

Svetta tra tutte Andy (I Can’t Live Without You), confessione d’amore che sbriciola il cuore con stordente sincerità. Una canzone tanto riuscita, che si perdona a Ashley qualche passaggio ingenuo, come la successiva El Dorado, che suona pericolosamente uguale a Dancing In The Dark del Boss.

Un filotto di canzoni non certo memorabili (ma quante ne ascoltiamo di veramente memorabili?), tra le quali, però, non c’è nulla che venga voglia di gettare nel cestino. Anzi, il disco si fa ascoltare più volte, e l’impressione finale è che la McBryde debba solo mettere maggiormente in luce quella personalità che in alcuni passaggi di Girl Going Nowhere emerge prepotentemente. Il talento c’è. Quindi, buona la prima e promossa a pieni voti.