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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
14/09/2021
Ginger Baker’s Air Force
Ginger Baker’s Air Force
Da Winwood a Denny Laine, passando per Graham Bond. L’ensemble organizzato da Baker per il progetto Ginger Baker’s Air Force non bada al risparmio e i risultati si vedono in questo live registrato nel tempio della musica, la Royal Albert Hall.
Ginger Baker non è mai sceso a compromessi: o ama qualcuno o qualcosa…o lo odia. Ne sono consapevoli i musicisti che hanno avuto a che fare con lui, Jack Bruce in primis. L’altra caratteristica di una vita vissuta al limite è la sua strenua difficoltà a focalizzarsi su un genere e un progetto. Ne è esempio il Ginger Baker’s Air Force, un miscuglio di afro-blues, jazz-rock e fusion che è durato poco meno di un anno con continue modifiche di line-up. Il primo dei loro due album, registrato dal vivo alla Royal Albert Hall il 15 gennaio 1970, necessita di una rivalutazione al netto della piuttosto povera qualità sonora della registrazione.
 
La performance, l’alchimia fra le varie anime del supergruppo e la scaletta sono infatti notevoli. Formatosi sulle ceneri dei Blind Faith, presenta oltre al citato frontman batterista, sia Steve Winwood sia Rick Grech ed è un’ulteriore conferma del fatto che fosse stato Clapton, spaventato dal futuro e voglioso di maggiore intimità (vedi gli show con Delaney & Bonnie), a decretare la parola "fine" a quella band. La formazione poi, è arricchita dal fior fiore della scena britannica, da Chris Wood, altro membro fondatore dei Traffic, a quell’istrione di Graham Bond e Denny Laine, non solo famoso per il contributo nei Moody Blues, ma in seguito parte integrante dei Wings e coautore insieme a Paul McCartney di quel piccolo capolavoro intitolato "Mull of Kintyre".
 
Un ensemble degno di questo nome se capitanato da “The King of drummers” Baker non può che prevedere altri formidabili batteristi accanto a lui. E quindi ecco Phil Seamen, secondo Ginger “Il più grande che sia mai venuto fuori dal Regno Unito” - testuali parole dall’ultima pagina della biografia Hellraiser, scritta personalmente - e il principe del ritmo afro-rock avant-garde, il nigeriano Remi Kabaka.
 
Bene, tutta la potenza di questi interpreti si fa largo già nell’iniziale sciamanica Da Da Man, magica e perfettamente in grado di incarnare la doppia personalità presente nella musica di Ginger Baker: alla carezza dell’armonia di suoni e voci piacevolmente amalgamati si somma il pugno delle calde percussioni che accompagnano le svisate, i "solo" dei vari artisti. Il leader degli Air Force specifica prima di iniziare il brano chi ne sia l’autore, dandoci l’occasione per citare un altro pezzo da novanta che furoreggia nel concerto. Stiamo parlando di un sassofonista, ma soprattutto flautista dal fraseggio unico: Harold McNair, che nella sua breve vita –morirà per un cancro ai polmoni a trentanove anni, pochi mesi dopo questa performance, nel marzo ’71- ha dato il suo immarcescibile tocco alle opere più disparate, da John Martyn a Donovan, fino a Jimi Hendrix. Il musicista giamaicano è un valore aggiunto in tutto lo show ed è memorabile il solo di alto flute nel traditional Early in the Morning, riarrangiato per l’occasione dall’ex batterista dei Cream. Il violino elettrico di Rick Grech è un’altra delizia di questo classico, un torrente in piena irrefrenabile per gran parte della canzone e in alcuni frangenti viene addirittura usato in abbinamento al pedale wah-wah. La chicca è ascoltare Steve Winwood sagacemente rimpiazzare proprio Grech al basso usando i pedali dell’Hammond organ.
 
“Suoneremo alcuni pezzi davvero molto strani durante questa serata…”
 
Baker all’inizio aveva avvertito il pubblico e sicuramente "Don’t Care", scritta a quattro mani con Winwood che la interpreta insieme alla delicata Jeanette Jacobs, ne è un esempio eclatante con i suoi dodici minuti piacevolmente infernali, occasione per consentire a Wood, McNair e Bond di furoreggiare con i sassofoni alto e tenore. E a proposito del mitico Graham Bond è curioso e informativo, riguardo come si vivesse nell’ambiente musicale a quell’epoca, il racconto di Ginger...
 
“Avevamo fatto le prove a lungo e il primo show andò bene a parte l’arrivo della polizia per arrestare Graham per mancato pagamento dell’assegno di mantenimento. Mentre lo portavano via, Denny Laine gli lanciò un pacchetto di Rothmans in modo che potesse calmarsi fumandone alcune. Poco dopo, però, si accorse di avergli lasciato, oltre alle sigarette, un cospicuo “blocco” di hashish. Fortunatamente i gendarmi non se ne accorsero e in cella Bond se ne sbarazzò nelle ore successive mangiando l’intera scorta.”
 
Nella scaletta viene recuperata "Toad" dal repertorio dei Cream. Se con il power trio rappresentava il momento di pausa per Eric Clapton e Jack Bruce, i quali intervenivano solamente nei secondi iniziali e finali, lasciando spazio a un assordante solo di batteria che superava, nelle versioni live, i dieci minuti, qui ci troviamo quasi nella stessa situazione, ma sono da moltiplicare per tre gli effetti, visto che appunto tutti e tre i percussionisti non danno tregua, colorando di ritmi tribali la celebre canzone.
 
Si vola direttamente in Africa, invece, con la monumentale Aiko Biaye, danza psichedelica infinita cantata dalla Jacobs insieme a Bond. Composta da Kabaka insieme a nientepopodimeno che Teddy Osei, funambolico leader degli anglo-ghanesi Osibisa (avete presente quella formidabile commistione di disco music, afro-rock, soul e rhythm and blues che caratterizza la hit Sunshine Day? Ecco i colpevoli sono loro!), permette ancora una volta di coinvolgere tutti i membri della band, specialmente gli addetti ai fiati e la lunga improvvisazione non può che terminare con un uragano di tamburi. Fortissima!
 
E’ molto particolare, invece, la storia dell’antica folk song Man of Constant Sorrow che regala per pochi minuti una pausa bucolica alle ritmiche senza tregua del concerto. Laine ne è il vocalist principale e la melodia è allietata dal violino di Grech, mentre Winwood è al basso. Gli altri musicisti seguono pedissequamente i tre citati e risulta inaspettato il fatto che venga scelta come singolo, senza prenderla dall’LP, ma utilizzando una versione in studio…misteri di Mr. Baker…
 
La scaletta si chiude ammantata di reminiscenze “latin-funk” che strizzano l’occhio ai Santana. Viene scelta "Do What You Like", dal repertorio dei Blind Faith. L’interpretazione è incandescente e in seguito "Doin’it" è la perfetta chiusura, pronta ad abbracciare il riff della prima a conclusione. Un’esibizione memorabile per un supergruppo inimitabile che, come accennato all’inizio, avrà vita breve. Il buon Ginger trarrà spunto dalla commistione di generi creatasi nel progetto Air Force per recarsi in Nigeria e iniziare un pellegrinaggio in quelle terre. Attraverserà il deserto del Sahara e costruirà il suo studio di registrazione a Lagos, allora capitale di quello stato. Comincerà così un altro dei tanti capitoli di una vita straordinaria, sempre vissuta sull’orlo del precipizio…la vita di una Leggenda, come è stato più volte definito da amici, musicisti e giornalisti. Una Leggenda in grado di confermare che a volte genio e sregolatezza possono convivere a lungo, e verrà ricordata anche per quella voglia di non fermarsi mai, ma continuare a provare esperienze straordinarie per sentirsi appagati.
 
E che la sua avventura sulla Terra fosse assolutamente sui generis, straripante di situazioni borderline, è anche ben chiaro quando Baker a fine anni ottanta spedisce la sua biografia a un famoso editore che, non capendo di chi si trattasse, lo contatta felice per aver trovato un perfetto ideatore di trame per fiction…