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REVIEWSLE RECENSIONI
Giant Palm
Naima Bock
2022  (Sub Pop Records/Memorial of Distinctions)
WORLD MUSIC AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8/10
all REVIEWS
21/07/2022
Naima Bock
Giant Palm
Meravigliosamente strana e, forse per questo, accattivante. La musica di Naima Bock è un fiore raro appena sbocciato, dal profumo intrigante. Un folk elettroacustico intriso di reminiscenze della tradizione brasiliana ove l’artista, perfettamente a proprio agio, apre il suo cuore e commuove con la sua voce tormentata, dal timbro unico, ricco di sfumature. Ascoltare l’album di debutto Giant Palm è un’esperienza onirica, che fa volare alto verso una terra sconosciuta e poi atterrare felici e un poco spaventati in un nuovo mondo, trionfo di bellezza incontaminata.

“Grazie a queste canzoni ho imparato a suonare la chitarra e il violino e, soprattutto, ho anche trovato la mia voce. Tutte le altre rappresentazioni del canto mi sembravano così irraggiungibili, ma nella musica folk ho scoperto che può assumere così tante forme senza la necessità di replicare esattamente qualcosa”.

 

Giant Palm, debutto davvero convincente di Naima Bock, è caratterizzato dal desiderio dell’artista di ampliare gli orizzonti. Lo si sente dagli arrangiamenti, a tratti sontuosi, ma sempre delicati, che hanno coinvolto un gruppo di musicisti talentuosi ampio (circa una trentina) e variegato. Sono dieci canzoni che originariamente nascono contornate solo da alcuni elementi di synth ed elettronica, tuttora lasciati come sfondo; adesso, però, sono diventate intense, complete - seppur tremolanti e sospese, specchio di uno stato d’animo cangiante -, raffiguranti comunque un’idea precisa, con questa voce, così unica e spiazzante, a fare da collante. Qui le sue qualità canore e compositive hanno potuto affinarsi, svilupparsi, e risulta difficile trovare paragoni calzanti, si potrebbe azzardare un incrocio tra Joan Armatrading ed Antony senza scordare Joni Mitchell e Shirley Collins, sicuri comunque di sbagliare.

 

Ciò che conta sono le sensazioni che si smuovono e la title track, posta opportunamente come opener, delinea molto bene quali temi e contenuti andremo ad incontrare.

L’inizio è sognante, alcuni effetti sonori lasciano spazio a una chitarra acustica e poi giunge il canto particolare di Naima, etereo, pieno di modulazioni, che sembra arrivare da un altro pianeta e avvolge, senza dare possibilità di fuga, ed è dannatamente piacevole rimanerne preda.

“E quando il mondo si sgretolerà ai miei piedi lo raccoglierò e lo stringerò contro la mia guancia, finché il vento non spazzerà via tutto… E per un po' dimentico che non posso volare, così fluttuo più in alto, al di sopra di tutto..” intona l’artista, nata a Glastonbury da padre brasiliano e madre greca, in un brano che ricalca il mood di "Wish You Were Here" di pinkfloydiana memoria, e queste sue origini così sparpagliate rifulgono chiaramente nell’opera. La Bock, peraltro, filtra le proprie radici echeggianti samba e bossa nova, tipiche della migliore tradizione carioca, con una gran quantità di generi smarcandosi dai cliché e rendendo il tutto molto personale. Il folk, ad ogni modo, è predominante e talvolta si abbina un sound prevalentemente acustico a uno strato di elettronica, ma nell’atmosfera si respirano anche sentori di jazz e psichedelia, evidenziando una chiara e ricercata trasversalità.

 

"Toll" è sicuramente uno dei vertici del disco, accompagnato da un video, ideato e diretto dal batterista Cassidy Jake Hansen, “retrò gotico” di rara bellezza.

“Una canzone concepita al fine di tenere per mano il decadimento e la morte”, racconta l’autrice, geniale nello sviluppare un testo carico di similitudini, dopo un iniziale fraseggio acustico che si distende su un’atmosfera prog anni sessanta, cullata da un flauto palpitante, opera di uno strepitoso Alex McKenzie, e un refrain arioso. Il tutto si attorciglia su fiati dispersi, suonati come se non ci fosse un domani, sempre in bilico e lancinanti, seducente tributo a Wayne Shorter. Sembra di essere catapultati in Solid Air di John Martyn, mentre le parole spezzano la speranza, taglienti più che mai: “Quando il dolore si fa sentire e il mondo abbatterà i suoi muri, sarai tu a soffrire maggiormente. Dicono che il tempo guarirà tutto, ma io ho sentito prima l'oscurità.”

 

Naima Bock ha solo 24 anni, tuttavia vissuti vertiginosamente. Ha fatto parte come bassista del gruppo post- punk Goat Girl; in seguito, in un momento di pausa e crisi interiore, si è pure dedicata al giardinaggio e ha studiato architettura, ovviamente senza abbandonare mai la passione per la musica. Infatti ha pubblicato un paio di singoli e continuato a scrivere brani, che ora hanno trovato la veste giusta in Giant Palm. Sono canzoni sviluppatesi nel tempo, talune abbozzate parecchi anni fa durante lunghe camminate “ispiratrici” in mezzo alla natura, sublime richiamo ancestrale.

La ragazza tiene una radicatissima propensione al ricordo e soffre terribilmente a constatare che il passato nei suoi momenti migliori non sia rinnovabile né riproducibile. La “historia” non è affatto una magistra vitae perché ogni volta è più facile ricadere negli stessi errori, nelle medesime illusioni e contraddizioni. Proprio per questo non dimentica le fondamenta del palazzo che rappresenta la sua esistenza, l’infanzia vissuta ad ascoltare svariati dischi classici di bossa nova, l’ammirazione per quel suono acustico davvero semplice, con una produzione efficace, in cui risaltano voce e percussioni e a tal proposito la scelta di utilizzare nell’LP uno strumento tradizionale come la cuíca non è un caso. Il fascino di questo progetto sta poi nell’aggiunta di tutte le esperienze attraversate nel percorso artistico che lo rendono unico e personale.

 

"Every Morning" e "Dim Dum" ricalcano perfettamente questa concezione, sono composizioni a immagine e somiglianza della loro creatrice, una fusione tra la famiglia, il pianeta e il modo in cui la musica si tramanda di generazione in generazione.

In particolare la prima è colma di armonie vocali che si intrecciano in un vero call and response tra il coro e la cantautrice, con il fischiettare prolungato, posto quasi al termine, che trasmette un senso di quiete trascendente. Le percussioni sono un altro asso nella manica in un motivo di una beltà disarmante, onesta autocritica per alcuni atteggiamenti e comportamenti ora fonte di rimpianto.

"Dim Dum" ricorda invece la lezione di Miles Davis a livello concettuale, per la libertà presa nella melodia che si conclude con un tripudio di archi: brividi!

 

Modernità, tradizione e contaminazione convivono in "Working", una bossa nova gonfia di ritmo e sassofoni, con echi di "Creep" dei Radiohead. Giunge il momento di introdurre una figura importante per la genesi del disco, il produttore Joel Burton - autore, fra l’altro, della rilassante ed eterea traccia numero nove "Instrumental" -, che è riuscito a iniettare in Naima quella fiducia in principio mancante per portare a termine l’opera, elaborata in tale arrangiamento definitivo a partire dall’autunno 2020, quando finalmente hanno pian piano cominciato ad allentarsi le restrizioni post-lockdown.

Musicista dall’approccio classico minimalista, Joel fa decollare le composizioni con la sua proverbiale attenzione ad ogni minimo dettaglio. "Natural" è un bozzetto acustico raffinato a metà strada tra Damien Rice ed Antony and the Johnsons, con pianoforte, flute ed ottoni in primo piano, perfetta anticamera per uno dei capolavori dell’album, l’ipnotico valzer di "Campervan".

Questo brano si può definire il manifesto di Giant Palm, con i suo continui cambi di tempo, dall’avvio incalzante per merito di un violino placido ed estraniante fino alla trasformazione in una graziosa ballata folk psichedelica. I meravigliosi passaggi strumentali tendono a evocare le fasi di una giornata, metafora della vita: prima la leggiadria dell’alba, l’energia del mezzogiorno e poi l’abbandono al tramonto.  Qualcosa di ciclico che lascia in realtà all’interno un po’ di tristezza, di nostalgia, di saudade per dirla meglio, perché ogni che se ne va non potrà più essere rivissuto. Rimane la speranza per quello successivo, anche se, andando avanti nell’esistenza si perde un poco di felicità e subentrano malinconia e solitudine, “Nel silenzio farò la mia casa, calpesto con leggerezza questa grande terra e fa male lasciare il verde…”.

 

Tragedia e bellezza -e pure, in fondo in fondo, un pizzico di umorismo per non vedere tutto nero-, sono il cuore della musica e dei testi di Naima Bock, una ragazza che ha scovato nel folk e nel gusto della ricerca, dello studio di questo genere, una ragione per vivere. Ultimamente ha trovato uno sfogo per questa passione facendo parte dei Broadside Hacks, collettivo in continua evoluzione, ma da tempo è un modo di esplorare la propria arte.

 

“Il mio patrigno ascoltava un sacco di vecchio folk, più che altro dalla collezione di Alan Lomax e cose del genere degli anni '30, '40 e '50. Sono sempre stata dalla parte della storia. Così, per ogni canzone che ho ascoltato, cantato e da cui ho imparato, mi sono sempre assicurata di trovare la fonte e di risalire il più possibile a tutte le diverse interpretazioni, per capire quali frasi sono state tolte o aggiunte. Per me questa è la parte piacevole della musica folk, ovviamente suonarla è divertente, ma in realtà adoro scoprire tutte le vicissitudini. La storia sociale è strabiliante, queste vicende incredibili di persone che non hanno potuto scrivere libri, ma sono riuscite a tramandare tali canzoni, che sono sopravvissute naturalmente attraverso le generazioni. È quasi un miracolo".

 

La ballata semiacustica a più voci "Enter the House" risente parecchio della musica ascoltata dall’artista in gioventù e, a chiusura del cerchio, non può mancare, proprio come ultima traccia del lavoro, una cover dell’altro mondo che fa parte del suo variegato background. "O Morro", traditional brasiliano a firma di Carlos Lyra, uno dei re della bossa nova, ci riporta nella magica aura degli anni sessanta. Spontaneità e modernità attraversano comunque questa leggiadra rilettura che richiama alla memoria, per l’arrangiamento delle voci, il progetto dei Tribalistas, uscito a fine 2002 e divenuto un successone l’estate successiva. L’interpretazione della Bock è speciale, e singolare per lei deve esser stato vivere l’infanzia in Brasile per poi tornare in Inghilterra: quanti ricordi ed esperienze sfociati poi nelle sue composizioni!

 

Archiviata con soddisfazione la realizzazione di Giant Palm, ora arriva il momento più impegnativo per Naima Bock. Dovrà dimostrare con continuità e sacrificio quanto di bello realizzato poiché, nel mondo liquido di oggi, non è permesso sbagliare, in un attimo si scivola nuovamente nell’anonimato. A suo favore spiccano una profondità musicale e lirica sorprendente per l’età e, ora che ha ripreso confidenza con la propria attitudine artistica, anche una frenetica predisposizione per l’attività live. Fra le sue intense emozioni, che cambiano in meglio il percorso culturale e spirituale, brilla l’esibizione come opening act per Rodrigo Amarante, avvenuta recentemente in una splendida location a Porto, a la Casa da Música, davanti a 1.300 persone.

Forza Naima, continua così, noi siamo con te.