Ci sono band che invecchiando migliorano, acquisiscono consapevolezza e struttura, affinano il suono e lo stile. E’ il caso, ad esempio, dei texani Spirit Adrift, band capitanata dall’irrequieto Nate Garrett, che ormai da un decennio circa sgomita per acquisire lo status di uno dei migliori gruppi heavy metal del pianeta. Dopo l'epica tempesta elettrica del debutto del 2016 intitolato Chained To Oblivion, Garrett ha progressivamente sgrezzato il suo approccio e ampliato la visione, trasformando la proposta in qualcosa di sempre più distintivo e affascinante.
Attraverso tre album acclamati dalla critica e dal pubblico (Curse Of Conception del 2017, Divided By Darkness del 2019 e Enlightened In Eternity del 2020) i texani hanno dato vita ad atmosfere potenti ispirate ai giorni gloriosi dell’heavy vecchia scuola. Un percorso lineare ma in crescendo, che ha visto il songwriting di Garrett crescere passo dopo passo, anche grazie a indispensabili assestamenti di formazione, l’ultima delle quali annovera la presenza di Tom Draper, ex chitarrista della backing band dei Carcass.
In questo nuovo Ghost At The Gallows si trova tutto ciò che rende emozionante un disco di heavy metal: epica, grinta e passione da vendere, un perfetto equilibrio fra riff tritatutto e ganci melodici, una scrittura che guarda al passato ma, ciò nonostante, estremamente brillante.
La prima traccia della scaletta, "Give Her To The River", rappresenta un riuscito connubio fra metal targato anni ottanta e il tiro impetuoso dell’hard rock anni settanta, anche se la somma delle parti non è né nostalgica né derivativa: intro carezzevole, riff dal suono classico ma tecnicamente ingegnosi, la voce carica di epos di Garrett, assoli rapidissimi, accelerazioni e stop and go, per una struttura che fluisce e rifluisce attraverso sette gloriosi minuti, nei quali si intravede l’influenza degli Iron Maiden. Un’apertura straordinaria, un brano magicamente senza tempo, che suona altrettanto bene oggi di come avrebbe fatto quarant’anni fa. E che i Maiden anni ottanta siano uno dei tanti punti di riferimento della band, lo si coglie anche nell’intro della successiva "Barn Burner", che si sviluppa poi attraverso intelligenti armonie vocali, un grande ritornello e un riff centrale che paga debito al thrash.
Con la terza traccia, "Hanged Man's Revenge", Garrett sceglie di pigiare il piede sull’acceleratore, sfornando un’adrenalinica performance speed metal, salvo poi virare verso il doom e strattonare la canzone attraverso assoli che arrivano come fucilate da tutte le angolazioni. "These Two Hands" si muove attraverso una delicata introduzione acustica, quasi folk, prima di gonfiarsi di rock blues e di dare vita a splendide armonie attraverso l’interplay delle due chitarre soliste. Al contrario, "Death Won't Stop Me" è un brano più rozzo, diretto, scartavetrato da un riff thrash ed esaltato da un ritornello orecchiabile e da uno straordinario lavoro alle armonie da parte di Draper, mentre "I Shall Return" paga evidente debito, almeno nell’intro, a Ozzy, per poi svilupparsi come ibrido tra metal e rock di settantiana memoria, e sfoggiare un ritornello che è un incanto melodico.
Se "Siren Of The South" è melodicamente oscura nelle sue trame che riportano alla luce antiche scorie grunge (Alice In Chains), la chiusura affidata alla title track conferma la portata delle ambizioni di Garrett, attraverso otto minuti dall’impianto quasi progressive e sovraccarico di riff, che si apre, poi, in una stasi centrale, ambientale, cinematografica, in cui chitarre spettrali avvolgono di mestizia il cantato di Garrett fino all’ennesima, devastante esplosione elettrica.
Ancora una volta, gli Spirit Adrift hanno tirato fuori grande originalità dagli ingredienti più famigliari possibili, plasmando un disco vario e ricco di dettagli e passione, consapevole del passato ma in nessun modo vincolato a esso. Ghost At The Gallows è un lavoro brillante e intenso, decisamente il capitolo più riuscito della band texana.