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REVIEWSLE RECENSIONI
29/11/2022
Savana Funk
Ghibli
Dopo un percorso iniziato nel 2015 che ha visto i Savana Funk pubblicare 4 album, nel 2022, dopo un travolgente tour estivo che li ha visti suonare di spalla a band del calibro di Kokoroko e Red Hot Chili Peppers, pubblicano il loro quinto album, “Ghibli”.

È possibile in Italia emergere suonando musica strumentale senza cantato e senza toccare il pop, l’it pop o il mondo indie? I Savana Funk ci dimostrano che è possibile, pubblicando Ghibli, il loro quinto album da studio, dopo un’estate che sembra aver incominciato a ripagare il loro duro lavoro. Ma non corriamo e cerchiamo di capire innanzitutto chi sono.

I Savana Funk sono un trio nato a Bologna nella primavera del 2015 e vedono Aldo Betto alla chitarra, Blake Franchetto al basso e Youssef Ait Buozza alla batteria. Nella loro biografia raccontano di come si siano trovati subito, incominciando immediatamente a buttare giù idee e scrivere canzoni che pubblicheranno in un primo lavoro (auto prodotto) dal titolo Musica Analoga. Molto curioso che ancora una volta Bologna si sia fatta teatro di un incontro tra tre percorsi di vita diversi che hanno creato l’alchimia dei Savana Funk, una formula fatta di funk, rock, blues e soprattutto afrobeat, che sembra promettere molto anche durante i live.

 

Ad oggi, dopo quasi sette anni di attività, i Savana Funk hanno pubblicato il loro quinto album, Ghibli, uscito a metà ottobre (in versione fisica a novembre) per l’etichetta bolognese Garrincha GoGo (la succursale di Garrincha Dischi che si occupa della world music) dopo un’estate di assoluto fermento. È vero che in questa estate si è vista su moltissimi fronti la necessità di ritornare in attività e suonare il più possibile, però i Savana Funk sono riusciti davvero ad emergere in questo, portando in giro un lungo tour (che stanno ancora realizzando nei club) che li ha visiti suonare di spalla a band del calibro di Kokoroko e Red Hot Chili Peppers o su palchi come quello del Jova Beach Party.

 

Ghibli è una cavalcata unica di dieci tracce che comprende anche i due singoli precedentemente pubblicati, “Elephant” e “Ghibli”. Il disco già dal suo primo ascolto dichiara molto bene le sue intenzioni facendo capire di avere a che fare con un’opera suonata molto bene, dal groove travolgente e dalle sonorità che puntano moltissimo alla world music e al mondo afro in particolare.

Essendo i Savana Funk sono un power trio (batteria, basso e chitarra), hanno fatto dell’essenzialità la loro arma vincente; caratteristica molto apprezzabile vista l’odierna mania di over-produrre, cioè di avere i brani traboccanti di strumenti senza mai un attimo di pausa o di spazio per respirare. I Savana Funk invece vanno avanti per tutto il disco con la loro dinamica da trio, aggiungendo ogni tanto delle tastiere o dei leggeri synth di sottofondo, ed è forse proprio questa essenzialità che garantisce loro l’impatto maggiore, come si può sentire nella opening track “Agadir” o nella splendida “Ghanaba”. Questa essenzialità, tra l’altro, si sposa bene con un’altra caratteristica molto affascinante: il loro suono. Con questo disco in particolare hanno portato un suono molto interessante, ruvido per certi versi, non perfetto e non pulito ma davvero affascinante e in grado di valorizzare moltissimo il suonato. Sicuramente se avessero scelto una produzione super cristallina il risultato non sarebbe stato lo stesso.

 

Un altro aspetto molto affascinante di Ghibli sono le ambientazioni che i Savana Funk presentano attraverso ritmi e riff. Queste ricordano volutamente le terre a sud e, infatti, quando nel loro comunicato stampa spiegano il titolo del disco raccontano: “Ghibli è il vento caldo e secco che soffia dal deserto verso il Mediterraneo.” e ancora, sempre parlando del disco: “Un album che guarda al sud, ai colori e ai suoni di quella parte del mondo, lasciandosi guidare da un elemento centrale: il vento che canta, bisbiglia, travolge e porta con sé. Il vento che pulisce i pensieri e scompiglia i capelli e le idee. Il vento del deserto che trascina la sabbia nel mare e, così facendo, contamina arie e sostanze. Una forza trainante e al tempo stesso consolatoria; proprio come la musica del trio, capace di far convivere culture e mondi diversi, armoniosamente sospesi tra presente e passato, tra Europa e Africa.”.

Ed è questa convivenza ciò che colpisce di più di questo album: la convivenza tra ritmi afro-funk travolgenti e riff capaci di far viaggiare la mente.

Concludendo, sono davvero contento che questa realtà si stia facendo spazio anche perché penso che abbiamo davvero bisogno di progetti come questo, che ci fanno guardare in direzioni che altrimenti ignoreremmo.