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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
German Oak
German Oak
1972  (Bunker Records)
ELETTRONICA/AMBIENT/EXPERIMENTAL/AVANT-GARDE PROGRESSIVE / KRAUTROCK
all RE-LOUDD
26/09/2017
German Oak
German Oak
Ad oggi merita un ascolto particolare per l’atmosfera claustrofobica, lo psichedelismo allucinato e l’indiretta testimonianza del mutevole sentire tedesco sul passato recente, fra rimozione, pietà e risentimento.
di Vlad Tepes

Nell’anno di grazia 1972 cinque misteriosi individui di Düsseldorf decisero di fuggire la realtà (le Olimpiadi tedesche e l’episodio di Settembre Nero) sotterrandosi in un rifugio antiaereo della Seconda Guerra Mondiale (Luftschutzbunker) per ricreare, si favoleggia, lo stato d’animo dei connazionali durante quel carnaio (il gruppo dedica il disco ai propri familiari che sopportarono traversie immani durante quegli anni; la città fu, infatti, distrutta a più riprese dai bombardamenti angloamericani[1]).

Il parto si concretò in un vinile con quattro strumentali: due lunghi brani su ciascuna facciata, dominati da chitarre e percussioni, sommati ad una introduzione e ad un commiato gemelli in cui è un organo ominoso a dettar legge.

Lo schema elementare si presta ad un’interpretazione altrettale: annuncio della discesa agli inferi (“Airalert”), catabasi vera e propria (“Down In The Bunker”, con percussioni insistenti e basso funebre per accentuare l’entrata in un regno ctonio), inferno (“Raid Over Düsseldorf”, una cavalcata psichedelica a simboleggiare le fiammeggianti incursioni aeree alleate; d’altra parte l’analoga incursione americana di Apocalypse Now è scandita dalla tedesca Cavalcata delle Valchirie); anabasi liberatoria (“1945 Out Of The Ashes”, la ripresa dell’organo di “Airalert” si scioglie nel suono finale delle campane a distesa e dei rumori della natura. Si torna alla superficie, alla vita).

La riedizione in CD del 1990, con l’introduzione di tre brani, se guasta l’equilibrio strutturale dell’opera[2], ci consegna un resoconto ulteriore di quelle registrazioni ipogee. “Swastika Rising” è una processione funerea in cui la chitarra si sostituisce alle tastiere; “The Third Reich”, preceduto da un discorso di Hitler, è, basicamente, un lungo assolo di chitarra dall’andamento funky (un cascame di “Echoes” dei Pink Floyd?); “Shadows of War: Rain of Destruction-V1 to London” presenta nella fase iniziale un organo martoriato che si spegne, via via, in un collage sonoro composto dal rumore della pioggia, dai cingolati, dalla voce franta del Führer, da rimbombi di basso.

Assolutamente ignorato all’epoca (11 copie smerciate secondo la leggenda), ignorato anche dall’ascoltatore onnivoro Julian Cope nel suo primo Krautrocksampler, il disco rientrò nella generale e disordinata rivalutazione degli anni Settanta continentali. Ad oggi merita un ascolto particolare per l’atmosfera claustrofobica, lo psichedelismo allucinato e l’indiretta testimonianza del mutevole sentire tedesco sul passato recente, fra rimozione, pietà e risentimento.

[1] Il resoconto cinematografico antinazista di tali vicende belliche è Twelve o’clock high (Henry King, 1949, tit.it. Cielo di fuoco), con un eccellente Gregory Peck; si basa sulla biografia del generale Frank A. Armstrong che introdusse “il metodo del bombardamento diurno di precisione ad alta quota (cui il titolo originale Altezza dodici precise fa riferimento)” [Giancarlo Bertolina in Dizionario universale del cinema, I, 1986]. Per un resoconto obiettivo sulle atrocità della ‘morte da lontano’ è, invece, indispensabile Sven Lindqvist, A history of bombing (tit.it. Sei morto! Il secolo delle bombe, 2001) che, anche agli Italiani, riserva una giusta e, ormai secolare, dose d’infamia.

[2] Un’aggiunta interessante, ma discrasica rispetto al disco del ’72; oltretutto, nella riedizione in CD, tali brani sono anteposti ai quattro originari creando una certa confusione filologica oltre che stilistica.


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