Di una cosa, bisogna dare atto alla band capitanata da Simon Le Bon: i Duran Duran avrebbero potuto vivere di rendita, replicando costantemente il suono di quella stagione gloriosa, in cui conquistavano il mondo a colpi di singoli mangia classifica. Invece, tra alti e bassi, hanno avuto il coraggio di stare al passo coi tempi, senza rinnegarsi e senza seguire (troppo) le mode, ma cercando semmai di rielaborare nuove sonorità attraverso un marchio di fabbrica, a distanza di decenni possiamo dirlo, unico e immediatamente riconoscibile. Un cammino che è stato un po’ fiacco per una decina d’anni (tra la metà degli anni ’90 e la metà del decennio successivo) e che, invece, a partire da All You Need Is Now (2011), ha visto la band vivere una seconda giovinezza per ispirazione e freschezza, ritornando, come è giusto che sia, al centro dell’attenzione mediatica.
Chi sono, dunque, oggi, i Duran Duran? Non più, certo, un fenomeno di massa, ma un gruppo capace di stare con consapevolezza e, lasciatemelo dire, classe cristallina, all’interno di un panorama pop, nel quale possono ancora dettare legge, rievocando la lucentezza di quel suono che ha prepotentemente segnato gli anni ’80. Insomma, i Duran si citano e si citano benissimo, senza che ci sia mai nell’aria l’odore pungente di autoreferenzialità o, peggio ancora, quello stantio dell’anacronismo. In tal senso, mai titolo fu più azzeccato: Future Past, il passato c’è, è presentissimo nelle dodici canzoni in scaletta, ma non è un fardello di inutili anticaglie, perché la band non perde l’occasione per trovare un coraggioso slancio verso il futuro.
Il risultato è un disco irresistibile, che ci fa dire “questi sono Duran Duran al 100%”, ma anche “suonano come una giovane e talentuosa band dall’indiscutibile hype”. Così "Invisible", che apre il disco, è un treno che corre a ritroso verso il 1985, il groove funky, tagliente ed essenziale, della successiva "All Of You" porta al centro del dancefloor, nel punto esatto in cui gli anni’80 incontrano i Daft Punk, e le pose dandy di "Give It All Up", in duetto con la svedese Tove Lo, mostrano quanto la band sia in grado di pennellare sfumature di incredibile modernità.
Un via vai temporale, un oscillare tra passato e presente, che convince senza procurare sfasamenti da jet lag e trova i suoi punti di forza nel basso pulsante di "Anniversary", rubato a "Relax" dei Frankie Goes To Hollywood, che apre una di quelle scintillanti tirate funk, che sono il marchio di fabbrica più riconoscibile di Le Bon e soci, in "Beautiful Lies", dalle sonorità eighties millesimate, nella dance pimpante e un po' tamarra di "Tonight United", nella malinconia avvolta in vapori synth di "Wing" e nell’incredibile "Hammerhead", sublime sintesi tra due epoche, una liquida linea di fretless bass , iconico riferimento all’età dell’oro dei Duran, e la voce della giovane rapper Ivorian Doll a ricordarci che, si, siamo proprio qui, nel 2021.
Non è un azzardo affermare che oggi i Duran Duran, nonostante siano lontani decenni dalla loro leggenda, restino ancora una delle pop band migliori in circolazione, e che questo Future Past regga tranquillamente il confronto, mutatis mutandis, con dischi del calibro di Rio e di Seven And The Ragged Tiger. La formula vincente, come dicevamo prima, è quella di essere riusciti a restare immediatamente riconoscibili, pur avendo imboccato con coraggio direzioni diverse. Esattamente come le due foto sovrapposte in copertina: una ferma, a ricordarci il glorioso passato, e un'altra, in movimento, pronta a scattare verso nuovi orizzonti.