Il regista non è tanto interessato a una cronistoria fedele delle gesta del celebre bandito quanto a uno scavo psicologico e a un approfondimento comportamentale cesellato sul protagonista e sulle sue azioni, discorso enfatizzato da un Paul Newman che si esibisce in una prova d'attore molto caricata, poco naturale e parecchio teatrale nei gesti e nelle movenze. Siamo di fronte a un Cinema datato, non solo in virtù dell'anno di uscita del film; ciò nonostante Penn rimane un regista capace di suscitare interesse proprio per il suo approccio ai personaggi, approccio questo che rende il film godibile ancora oggi, fermo restando che se si vive di pane e Netflix qualche difficoltà a maneggiare questo tipo di pellicole la si potrebbe incontrare. A conferma della validità dell'autore ricordiamo solo alcuni dei titoli successivi firmati da Arthur Penn, e parliamo di film dagli esiti che variano dal capolavoro al molto valido quali Anna dei miracoli (2 Oscar), Gangster story (2 Oscar), La caccia, Il piccolo grande uomo e altre cose ancora.
William Bonney (Paul Newman) è un vagabondo già macchiatosi di un primo delitto in tenera età, a dispetto della sua cattiva fama l'allevatore Tunstall (Colin Keith-Johnston) prende a ben volere il giovane ragazzo e gli procura un lavoro insieme agli altri suoi mandriani. Per questioni economiche Tunstall viene poi fatto fuori da un poker di carogne che vantano tra le loro fila lo sceriffo Brady (Robert Faulk). Billy, sconvolto dalla morte di una delle poche persone che gli avevano accordato fiducia senza chiedere nulla in cambio, decide di adoperarsi per vendicare il suo benefattore trovando l'aiuto dei cowboys Tom (James Best) e Charlie (James Congdon). Sulla sua strada il ragazzo, un vero fulmine con la pistola, troverà un pistolero altrettanto in gamba: Pat Garrett (John Dehner).
Ciò che differenzia Furia selvaggia da tutta una serie di altri western più classicheggianti è la modalità in cui il protagonista affronta il dolore per la perdita di una figura che, sebbene conosciuta da poco tempo, avrebbe potuto sostanzialmente fungere da palliativo per un'infanzia turbolenta e problematica, divenendo sostituto di una figura paterna assente. Tralasciando l'età di Newman già un po' troppo matura per interpretare quello che avrebbe dovuto essere poco più che un adolescente, e il fatto che la storia di Billy the Kid viene da Penn largamente alterata, rimane un protagonista originale che sembra essere in preda a una sorta di schizofrenia, un ragazzo che passa da momenti di ilarità e indole festaiola alla spietatezza del killer passando per dolori degni di un Delitto e castigo, nel contesto un filo fuori posto, senza riuscire a decidere se seguire i consigli del suo demone interiore o quelli di un amico sincero come Pat Garrett, uomo per mano del quale, lo sappiamo tutti, Billy incontrerà il suo destino. Siamo in bilico tra il western e qualcosa di diverso e più moderno, il film ha la capacità di accontentare sia lo spettatore che cerchi l'una o l'altra soluzione, fermo restando ritmi e modi narrativi almeno in parte ancorati al Cinema dei 50 del secolo scorso.
Anche solo in virtù del fatto di rappresentare l'esordio dietro la macchina da presa di Arthur Penn il film vale la visione, si recita di maniera ma diversi passaggi vanno a segno, poi Penn svilupperà meglio il suo Cinema nelle prove successive, un percorso che vale la pena approfondire e conoscere.