In un mercato schizofrenico e senza memoria come quello attuale, un silenzio discografico di quattro anni è ormai paragonabile a una vera e propria era geologica. Ma se si pensa che tra il precedente album della Electric Light Orchestra Alone in the Universe (2015) e Zoom (2001) erano trascorsi quattordici anni e che tra quest’ultimo e Balance of Power (1986) ben quindici, allora si può dire che tutto sommato Jeff Lynne questa volta in realtà abbia tenuto dei ritmi produttivi particolarmente alti per i suoi standard, tenendo anche presente che due anni fa è uscito pure il live Wembley or Bust.
Dal momento che in studio Lynne suona praticamente tutti gli strumenti, lasciando al collaboratore di lunga data Richard Tandy solo una manciata di note di pianoforte qua e là, quella che ora si chiama Jeff Lynne’s ELO più che una band è una sigla dietro la quale si cela la carriera solista di Jeff Lynne, il quale per molto tempo aveva perso interesse nei confronti della sua creatura e che solo negli ultimi anni ha ripreso pieno possesso di un repertorio che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta ha prodotto una sequenza di album e singoli che hanno fatto la storia del Pop. Un corpus che ha schiuso a Lynne le porte del Pop e del Rock che contano, permettendogli di lavorare con artisti del calibro di Dave Edmunds, Brian Wilson, Roy Orbison, Del Shannon, Joe Walsh, Tom Petty, George Harrison, Ringo Starr, Paul McCartney e – ciliegina sulla torta – i Beatles spuri del progetto Anthology.
Una carriera come poche, caratterizzata da un sound inconfondibile e da una produzione immacolata, ottenuta grazie a una fitta ragnatela di chitarre acustiche, armonie vocali perfette, accordi sostenuti di tastiere e una batteria essenziale. Un vero e proprio marchio di fabbrica che caratterizza anche From Out of Nowhere, un album che, come suggerisce il titolo, sembra sbucare dal nulla, come fosse contemporaneamente fuori dal tempo e dallo spazio. Più che figlio di questo 2019, sembra una raccolta di outtakes di fine anni Ottanta, inizi anni Novanta, quando Lynne era il braccio destro di Tom Petty e aveva appena chiuso i lavori di Cloud Nine di George Harrison. Infatti in questo album c’è molto di Full Moon Fever e di Into the Great Wide Open, però senza dubbio l’influenza maggiore la esercitano i Beatles, vuoi per la vocalità di Lynne, così vicina a quella di George Harrison, vuoi per i calibrati inserti di chitarra slide, così simili nell’esecuzione a quelli del Beatle più giovane, vuoi per la produzione, così analoga nello spirito a quella di George Martin, vuoi per il gusto per la melodia, così affine a quello di Paul McCartney.
Con le sue 10 canzoni per 32 minuti, From Out of Nowhere a conti fatti è un album di puro artigianato musicale, frutto del certosino lavoro di un autore che conosce il mestiere come pochi e che fa musica senza uno sforzo apparente, slegato da qualsiasi moda e tendenza ma anche da ogni facile nostalgia. Abbandonate le eccentricità degli anni Settanta e l’abuso di synth degli anni Ottanta, in From Out of Nowhere Lynne scatta la fotografia di un felice momento creativo. Quello che ne esce è il ritratto di un uomo che, superata la soglia dei 70 anni, non aspira a fare altro che ciò gli pace di più: scrivere e registrare canzoni.