Ed ecco l’ennesimo teatrino dell’indifferenza che cade a proposito e puntuale su quel che di buono fa la mente pensante. Ed il teatro che va in scena, lo stesso teatro da sempre boicottato, pericoloso per il sistema e i governanti. Boicottare significava un tempo anche agire con forza e violenza, agire fisicamente contro l’inarginabile stato energetico dell’uomo che voleva, anzi pretendeva, arte e contaminazione. I piantoni di guardia dietro i locali romani ai tempi del Jazz vietato sono ricordi preistorici. Il futuro ha creato l’appiattimento delle menti, l’azzeramento del potere critico e ha polverizzato curiosità e qualsiasi tipo di capacità di capire, comprendere ed esplorare. Fatto questo, si mandano in pensione le “forze armate” che l’annullamento dell’arte e dei suoi condottieri è una conseguenza inevitabile, anzi voluta da tutti in luogo dei tanti idoli facili del palcoscenico moderno. “Avrete soldi e gloria, ma non avete scorza” diceva Guccini…
Ed ecco dunque l’ennesimo disco che ad ascoltarlo cento volte regala verità assai scomode alla pubblica piazza. Ero certo che dietro i solchi di questo vinile si nascondeva una mente raffinata, se non addirittura alta nel senso romantico del termine (per non seminare miti facili), una mente preziosa per questa lotta partigiana, impari e perdente già dal primo round.
Frank Bramato l’ho conosciuto "di sguincio" come tanti dischi che mi “propinano” ogni giorno. Poi qualcosa resta, qualcosa scatta, qualcosa che fa dire: questa volta è diverso. Non è certo nel suono o nello stile di vestire la sua timbrica che vien fuori la personalità. Ma è la voce che narra e denuncia, che all’occorrenza dipinge uno spoken word di quartiere che mette a nudo il buon costume sociale, umilia a tratti.
Questo disco la dice lunga già dal titolo: “Non Essere”. Libero e istintivo nella forma, libero dai cliché anche quando li insegue per darci il contentino. Ed è certo che l’ascolto diviene immersivo se e soltanto se siamo noi a concedergli spazio. Ci vuol coraggio prima di tutto a sentirci umiliati dalla presa di coscienza, da questa santa non esistenza che sventoliamo a suon di morali plastificate ad arte. Tutto bello a vedersi ma poi ha ragione lui: "ci vuole pazienza per trovare qualcuno con il quale ci si possa confrontare attraverso il dialogo fatto di parole e non di faccine". E come lui anche io "sto perdendo la pazienza".
Al di la del cinguettio delle abitudini moderne, sfoderiamo gli attributi che tanto diciamo di avere e concediamo il tempo a questo disco di girare, con il suo pop, con il suo rock sghembo, con la sua ironia drammatica. Poi a voi la capacità di avere pazienza, di far di conto con le verità che ne verrano fuori, a voi il diritto del contraddittorio ma che sia reale e privo di frasi inscatolate dalle chat digitali.
Ad ascoltarti, caro Frank, non credo proprio che Frank Zappa sia morto invano.
Prima parola che sottolineo: esistenza. Che rapporto hai con l’esistere? Esistere che per me significa esistenza a prescindere e non esistenza misurata e condizionata dal circostante.
Bisognerebbe sempre partire dal concetto concreto di esistenza : “Si esiste” (nonostante tutto). Fatte queste dovute premesse rimane il grande problema del gestire l’esistenza. Col passare degli anni (in particolare modo l’ultimo ventennio) il concetto di Essere ha subito dei drastici cambiamenti, indirizzati quasi tutti verso quel diabolico mantra del “privarsi dell’essenza” pur di appartenere ad uno stato sociale unico e molto probabilmente imposto. Se non ci si pone più domande in merito si rischia di abbandonare ogni tipo di concetto che parte dal profondo, quindi da sé stessi, per galleggiare in un mare di omologazione che regala stabilità fittizie, generando questa società che si reprime pur di rimanere a galla. L’arte, ed in particolare modo la musica, è stata la prima a risentire di questo enorme cambiamento sociale, ma piuttosto che diventare anticorpo, ruolo che ha sempre interpretato, si sta avviando verso l’integrazione omologata della quale parlavo prima, un nuovo peccato capitale. Esistere dunque, ma “Non Essere”.
Altra parola importante: pazienza. Parola che in se porta un concetto di tempo che ormai abbiamo sostituito con parole come fretta, mancanza, velocità. Ormai che fine ha fatto la pazienza?
Nell’epoca delle immagini, delle storie, dei TicTok, l’unico modo per sopravvivere per quelli come me è quello di esercitarsi nella sacra arte della pazienza. Non condanno i social che sono di fatto parte integrante della società, ma mi dispero alla vista di un arma così potente, usata a favore del nulla cosmico, creando una schiera di mentecatti che simulano balletti, canzoncine e fanno sfoggio di tutto quello che non appartiene all’essere pensante (ci risiamo con l’essere). Ci vuole pazienza per cercare di creare un contraddittorio, ci vuole pazienza per capire come contrastare questa deriva, ci vuole pazienza quando si viene completamente risucchiati da questo sistema, ci vuole pazienza per trovare qualcuno con il quale ci si possa confrontare attraverso il dialogo fatto di parole e non di faccine. Sto perdendo la pazienza.
Citandoti: la lucidità diventa uno stato occasionale. Quanto siamo inscatolati dentro una condizione “non umana” e non lucida delle cose?
Ci siamo dentro fino al collo. Una società in pieno attacco di panico. Credo che il problema più grande sia la distruzione totale di ogni archetipo. Viviamo in una favola dove eroi, aiutanti e antagonisti si mischiano venendo meno al ruolo fondamentale che hanno nella storia, creando un caos difficilmente colmabile. Se la storia “viene giù” insieme ai suoi personaggi il caos è dietro l’angolo: addio lucidità, addio umanità. Parole come arte e talento sono ormai sulla bocca di tutti e questa moltitudine anela a quel quarto d’ora di fama, tra pianti e applausi, senza rendersi conto che tutto ciò che viene fuori da questo enorme calderone è puro intrattenimento, che non condanno ma che combatto affinché le due cose non siano confuse. L’arte è la cosa meno democratica che conosca. In effetti il novanta percento della gente che continuano a propinare sono solo intrattenitori di masse poco inclini all’ascolto.
Per restare sul tema, secondo te è un caso questo modo di essere o è voluto da un mercato, una sistema circense?
Probabilmente è la combinazione tra la perdita totale di curiosità (che crea il sistema circense), e il mercato che non fa altro che alimentare questo sistema, offrendo agli avventori un prodotto facilmente fruibile e che non comporta sforzi particolari nell’essere consumato. Credo che non ci sia nulla di cosciente in tutto ciò e non funziona più neanche il concetto di essere pro o contro, qui ci si annulla a vicenda, si diventa identici, indistinguibili, nulli.
E ancora, dentro “La coscienza del mago”, l’illusione è il tuo stato abituale. Tutti chiusi dentro una vita sempre uguale.
Superando superstizioni e allegorie credo che la figura del mago sia da rivalutare. L’obiettivo del mago è quello di sottomettere la natura alla sua volontà, facendo degli elementi uno strumento forte che attraverso una disciplina ferrea porta ad una crescita spirituale a vantaggio dell’intero universo. In poche parole, il mago passa l’intera esistenza ad eliminare ogni forma di ego. Quello che succede oggi è esattamente il contrario, si trascorre la vita con l’unico scopo di alimentare un ego stupido che molto spesso porta a quella forma di illusione e ad una falsa consapevolezza. È uno stato abituale!
Al “Divino” chiedi la speranza di ritornare all’essenza. Secondo me questa frase nasconde mille piani di lettura e chiavi importanti. Innanzitutto: sembra che la speranza non sia legata al ritorno all’essenza, come se tu abbia bisogno di sperare in altro visto che sicuramente torneremo all’essenza.
Credo ci sia un forte bisogno di spiritualità, una spiritualità attiva, non concettuale. Il “Divino” fa parte di noi dal momento in cui si concretizza il grande miracolo (l’unico) del concepimento. Si viene al mondo per una fortuna sfacciata e da lì in poi ognuno dovrebbe costruirsi una strada fatta di curiosità e di crescita interagendo con un ambiente che non hai scelto ma che ti tocca vivere. È un percorso che tende al futuro, qualsiasi esso sia, ma che avrà come meta finale l’origine e nell’origine si trova l’essenza.
E col “Divino”, quale che sia ovviamente, che rapporto hai?
Mi è sempre piaciuto il concetto di “libero arbitrio” che fondamentalmente delega ad ogni essere umano la libertà di vivere la vita come meglio crede. Purtroppo bisogna fare i conti con una serie di sovrastrutture delle quali potremmo tranquillamente fare a meno, ma che in un modo o nell’altro influenzano il nostro essere. Il Divino per me è liberazione quando appare nella sua forma magnanima e distruzione quando invece è irato. “A sua immagine e somiglianza”
“Frank Zappa è morto per niente”. Forse il brano manifesto di questo disco ricco di contestazione. Mille parole per tornare sempre al punto fermo dell’omologazione. Qualcuno disse che la cultura nella sua espressione libera fa paura ed è un impegno quello di doverla combattere. Tu cosa ne pensi?
Basterebbe guardarsi intorno. Siamo davvero contenti dell’attuale stato dell’arte? Davvero non esistono alternative a quello che quotidianamente ci viene propinato? Davvero non può più esistere un elemento di rottura? Sembra che la storia sia ciclica ed ogni artista a suo modo e nel suo tempo ha cercato di contrastare quello che era l’appiattimento di una società che tende, per pigrizia, a scegliere sempre la strada più semplice. Questa forma di annullamento del pensiero sembra abbia preso piede e la cosa che mi spaventa di più è il fatto che col passare degli anni, soprattutto nel campo dell’arte, si sia sviluppato il concetto di omologazione totale, eliminando volutamente ogni forma di pensiero libero. Artisti come Frank Zappa, Battisti, De Andrè, cosa avrebbero fatto oggi? X Factor, Amici, The Voice? Una Hit estiva? Sicuramente no! L’unica cosa sicura è che molto probabilmente sarebbero stati risucchiati dal concetto di nicchia e destinati a pochissime persone. Pensate che grande spreco per il pubblico… questo pubblico “della nicchia”!
E poi la chiusa dedicata a Demetrio Stratos. Il suo “Cantare la voce” torna come imperativo d’ispirazione. E qui ci leggo un filo conduttore prezioso con tutta quella scena che voleva “violentare” la forma canonica per ricercare l’espressione, l’uomo, la verità. Il tuo filo conduttore invece?
Da quando ho ascoltato Stratos (così come altri artisti) ho capito quale sarebbe stata la mia linea: “nessun limite”. Partendo da questo presupposto mi si sono aperti davanti numerosi mondi, tutti da esplorare, ho iniziato imitando, poi assorbendo, dopo di che creando qualcosa di mio frutto molto probabilmente di un’inconsapevolezza fatta di istinto e passione. Il primo atto della fase creativa DEVE ESSERE inconsapevole di questo sono più che convinto, il resto come per magia arriverà e si incastrerà a dovere.