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REVIEWSLE RECENSIONI
Foxes in the Snow
Jason Isbell
2025  (Southeastern)
IL DISCO DELLA SETTIMANA AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
8,5/10
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17/03/2025
Jason Isbell
Foxes in the Snow
Con “Foxes in the Snow” Jason Isbell si spoglia di ogni orpello e ci consegna un disco interamente acustico, in cui racconta il recente divorzio e la conseguente rinascita con un songwriting di rara profondità.

A questo punto della carriera, Jason Isbell non ha più nulla da dimostrare. E forse proprio per questo il suo nuovo album, Foxes in the Snow, suona così sincero, necessario e doloroso. Dopo anni trascorsi con i 400 Unit a forgiare un suono che abbraccia le molte sfumature del rock americano, accompagnato da liriche che esplorano le contraddizioni dell’essere un uomo bianco negli Stati Uniti di oggi, Isbell ha deciso di prendere la direzione opposta: niente band, niente ampie cavalcate elettriche (documentate nel recente Live from the Ryman, Vol. 2), solo la sua voce e una chitarra acustica. Quella che potrebbe sembrare una semplice pausa artistica, un momento di riflessione prima di un nuovo capitolo, si rivela invece un viaggio crudo e spoglio nella parte più intima della sua anima.

 

Chi segue la carriera di Isbell sa che questo disco arriva dopo la fine del suo matrimonio con Amanda Shires, un evento che ha segnato profondamente sia la sua vita privata sia la sua musica. I segnali di una crisi erano già evidenti nel documentario HBO Running with Our Eyes Closed, che documentava la lavorazione di Reunions (2020), ma Foxes in the Snow non è un classico breakup album nel senso tradizionale del termine. Non è il Blood on the Tracks di Bob Dylan né il Sea Change di Beck, per citare due dei riferimenti più noti.

 

Se è vero che l’album nasce dalla volontà di Isbell di ricostruire sé stesso attraverso il racconto del dolore, è altrettanto vero che evita il melodramma e la retorica della sofferenza sentimentale. Con una narrazione sfumata e un’attenzione ai piccoli dettagli quotidiani, il disco suggerisce una consapevolezza adulta, priva di rimpianti eccessivi o di autocommiserazione. E con un colpo di scena che ha quasi dell'incredibile, Isbell rivela che la soluzione alle sue pene d’amore potrebbe essere già arrivata: attualmente, infatti, è sentimentalmente legato all’artista Anna Weyant (che tra l'altro ha realizzato l'immagine di copertina) e questo elemento aggiunge un ulteriore livello di lettura all’album, suggerendo un equilibrio tra chiusura e nuovi inizo.

 

 

Isbell ha sempre avuto un talento unico nel trasformare il personale in universale, e qui lo fa con una grazia che si potrebbe definire spietata. Non ci sono orpelli nei brani di Foxes in the Snow: ogni nota e ogni parola sono calibrate con precisione, le melodie sono scarne ma curate nei minimi dettagli, come se Isbell volesse lasciare il massimo spazio possibile alla sua voce e al peso emotivo delle canzoni. L’unico esperimento paragonabile, nella sua discografia, si trova nelle demo incluse nella versione deluxe di Southeastern, pubblicata nel 2023 per il decennale dell’album. Ma qui non siamo di fronte a semplici versioni grezze di canzoni già esistenti: Foxes in the Snow è la chiusura ideale di un cerchio iniziato proprio con Southeastern, l’album che lo ha consacrato al grande pubblico.

 

All’epoca, Isbell stava ricostruendo la propria vita: aveva appena sposato Amanda Shires, aveva vinto la sua battaglia contro l’alcolismo e si preparava a una carriera che lo avrebbe portato a essere riconosciuto come uno dei più grandi songwriter americani contemporanei. Ogni album successivo (Something More Than Free, The Nashville Sound, Reunions e Weathervanes) ha affinato il suo talento di chitarrista, autore, bandleader e produttore, costruendo un percorso di rara coerenza e intensità. Ora, con Foxes in the Snow, Isbell sembra chiudere definitivamente quel capitolo, voltando pagina verso un futuro ancora tutto da scrivere.

 

 

Le undici tracce dell’album mostrano un’abilità di scrittura che conferma Isbell come il miglior songwriter della sua generazione. “Gravelweed” è forse il brano più emblematico dell’intero disco: «And now that I live to see my melodies betray me / I’m sorry the love songs all mean different things today» canta Isbell, ammettendo con una lucidità quasi spaventosa come la sua stessa musica sia stata trasformata dal tempo e dagli eventi. È un pezzo che si ascolta con un nodo in gola, perché il suo autore è consapevole del proprio ruolo: quei brani d’amore che Isbell ha scritto negli anni – da “Cover Me Up” a “If We Were Vampires”, veri e propri inni per tantissime coppie di innamorati – oggi assumono un significato nuovo, meno romantico e più doloroso. Ma Foxes in the Snow non è solo rimpianto e tristezza. “Ride to Robert’s” dipinge una Nashville viva e pulsante, vista con occhi di uno innamorato da poco, mentre la title track, è un pezzo carico di desiderio e rinascita, con una scrittura che sfiora la poesia: «I love the carrot but I really like the stick», sussurra Isbell, lasciando intravedere il sottile equilibrio tra piacere e sofferenza che attraversa tutto il disco.

 

Un altro brano chiave dell’album è “Eileen”, dove Isbell si interroga sulle proprie colpe e sulla natura effimera delle relazioni, con una melodia struggente e un testo che non lascia scampo: «Eileen, you should have seen this coming sooner / Do I mean to be alone for all my days?». “Don’t Be Tough”, invece, riprende uno dei grandi temi della poetica isbelliana (riflettere sul maschilismo tossico americano) ed è una sorta di manifesto esistenziale, un consiglio che suona come una lezione di vita: «Don’t be tough until you have to / Let love knock you on your ass». Qui Isbell si mette a nudo, suggerendo che la vera forza non sta nella durezza, ma nella capacità di accettare le proprie emozioni.

 

 

Uno dei momenti più intensi del disco è senza dubbio “True Believer”, probabilmente il brano più diretto e rabbioso dell’album. Qui Isbell affronta senza filtri il dolore della separazione, con una franchezza quasi brutale: «All your girlfriends say I broke your fucking heart». È un momento di catarsi, di accettazione del dolore e delle proprie colpe, ma anche un tentativo di guardare avanti con lucidità. “Eileen”, “Gravelweed” e “True Believer” fanno parte di una sorta di trilogia dove Isbell esplora più apertamente il divorzio da Shires, fornendo una narrazione che va oltre la semplice amarezza o il rimpianto.

«Con queste tre canzoni, in particolare, sto cercando di parlare di un periodo della mia vita che è stato difficile, segnato da molti cambiamenti» ha dichiarato in un’intervista a Spin. «Ho divorziato. Mi sono trasferito. Sto cercando di crescere mia figlia nel mezzo di tutto questo e di gestire le conseguenze della relazione. Quello che voglio è riuscire ad allargare lo sguardo, vedere le cose da una prospettiva che vada oltre l'amarezza, la rabbia, il risentimento o qualsiasi altra emozione simile. Voglio osservare questo periodo della mia vita per ciò che è stato: in che modo mi ha formato? Come ho trattato le persone coinvolte? E come posso usare queste riflessioni per crescere come essere umano, ora e in futuro?».

 

Fortunatamente, l'album si chiude su una nota di speranza con “Wind Behind the Rain”, scritta in occasione per il matrimonio del fratello, come raccontato a Billboard: «Ho scritto [quella canzone] per mio fratello minore e sua moglie quando si sono sposati. Lei è venuta da me e mi ha chiesto se potevo scrivere una canzone per il loro primo ballo. Nessuno me l'aveva mai chiesto prima, e ho pensato: "Che richiesta audace". Ma visto che lo aveva fatto, ho deciso di provarci. Alla fine, la canzone è finita nel disco. Mi sembrava che chiudesse con una nota di speranza. Voglio che la gente capisca che credo sempre nell'importanza di impegnarsi in qualcosa, che sia una persona, un credo o uno stile di vita. Il processo di dedizione è molto più prezioso del risultato».

 

 

In Foxes in the Snow, per la prima volta in oltre un decennio, Isbell ha lasciato da parte i 400 Unit e si è affidato esclusivamente alla propria voce e alla sua chitarra acustica in mogano Martin 0-17 del 1940. La scelta non è casuale: il risultato è un album che richiede silenzio, intimità e attenzione («Molte storie di questo disco, molti dettagli e molte canzoni sono molto personali. Non volevo costringere nessun altro a essere presente nella stanza», ha dichiarato sempre a Spin). E il risultato è straordinario: la voce di Isbell è più espressiva che mai, capace di passare da un sussurro quasi fragile a un’esplosione di emozione pura. La produzione di Gena Johnson, inoltre, è invisibile ma essenziale: ogni suono è esattamente dove deve essere, senza eccessi né sottrazioni. Il disco è stato registrato in pochi giorni agli Electric Lady Studios di New York, e si sente. Non perché suoni affrettato, anzi, ma perché possiede un’urgenza e una necessità che lo rendono vivo e reale.

 

Insomma, con Foxes in the Snow, Jason Isbell non solo conferma il proprio status di erede naturale di Tom Petty e Bruce Springsteen, ma lo fa con un album che potrebbe essere accostato ai grandi lavori acustici della storia del rock: Nebraska di Springsteen, Pink Moon di Nick Drake, I See a Darkness di Bonnie “Prince” Billy. Oltre a questi riferimenti, però, ci sono anche richiami ad altri grandi della musica americana: Neil Young, ovviamente, il sempre troppo dimenticato Townes Van Zandt, e soprattutto il primo John Prine, a conti fatti il vero modello di Isbell (prima della sua prematura scomparsa nel 2020, il cantautore originario dell'Illinois ha fatto proprio da mentore a Isbell una volta che questi si è trasferito a Nashville, instaurando con lui un solido legame di amicizia). Ma ci sono anche i R.E.M. acustici di Automatic for the People, in special modo nella traccia “Crimson and Clay”, un brano che richiama così da vicino l’estetica malinconica e sospesa della band di Athens che è facile immaginarselo cantato da Michael Stipe.

 

In definitiva, Foxes in the Snow è un disco che richiede attenzione e che non si lascia ascoltare distrattamente. La sua natura minimale lo rende un’opera non immediata, ma capace di insinuarsi lentamente nell’ascoltatore, fino a diventare impossibile da dimenticare. Perché, oltre a rappresentare l’ennesima prova del talento di Jason Isbell come autore, racconta una verità che appartiene a tutti: le cose finiscono, ma è necessario trovare un nuovo inizio.