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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
30/11/2017
Sex Pistols
Forze oscure o per lo meno pericolose?
Ecco allora la difficoltà nel cercare di arginarli, la demonizzazione ben rappresentata dalle fiaccolate di sapore “caccia alle streghe” contro le tappe dell’Anarchy in the UK Tour, la coalizzazione intorno alla monarchia nel 1977 contro il punk che “è” i Sex Pistols...
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

“We are the forces of anarchy and chaos” si legge in bianco sul grande patch nero della camicia che funge da copertina al mio blog[1].

Ci sono anche altri slogan su questa “anarchy shirt” di Sex/Seditionaries[2], ma questo risalta perché, se si considera un poco di storia del punk britannico, i Sex Pistols si pongono sopra tutti come forza di antagonismo alla società ed alla nazione.

C’è quindi un’aura oscura, o almeno di pericolo, intorno ai Sex Pistols che non si rinviene nelle altre band, nemmeno nei The Stranglers risulta cosi accentuata questa forza buia e per The Clash la politicizzazione curiosamente ne stemperò il potenziale effettivamente dirompente in una società come quella d’oltremanica (che a differenza dell’Italia soffriva semmai di guerra civile sottopelle, vedi IRA, ma non di terrorismo eversivo).

Forse è anche questo il segreto del successo di Rotten, Jones, Matlock (e Vicious) e Cook?

Delle due parole sopra ricordate, quella più rilevante non è anarchia, bensì caos.

Può spiacere a chi è di fede anarchica, ma l’anarchia non ha avuto particolare presa nel mondo.

“Actually, we’re not into music.”, one of the Pistols confided afterwards.

‘“Wot then?”

‘“We’re into chaos.”[3].

Ed il caos fine a se stesso, sorta di unica possibile espressione e sfogo di impotenza a cambiare il mondo che li circonda, sono poi le chiavi di comprensione (non di giustificazione) anche del fenomeno hooligan, o delle distruzioni ad opera dei giovani nelle periferie delle grandi città del mondo.

Senza riandare alle analisi svolte da Jon Savage in England’s Dreaming (cui appunto si può rinviare, e alla corposa bibliografia che lo accompagna[4]), è mia opinione che la supremazia dei Sex Pistols sia da ritrovare, anche, nel fatto che a differenza di The Clash loro non hanno mai preteso di offrire una alternativa, ma piuttosto di raccontare atti di distruzione della società che li circondava oppure la autodistruzione terminale della gioventù che li compie (autodistruzione attraverso il passare del tempo e l’arrivo della età adulta).

Ecco allora la difficoltà nel cercare di arginarli, la demonizzazione ben rappresentata dalle fiaccolate di sapore “caccia alle streghe” contro le tappe dell’Anarchy in the UK Tour, la coalizzazione intorno alla monarchia nel 1977 contro il punk che “è” i Sex Pistols e il loro blasfemo (ancora) “God Save The Queen”, tanto che la band non può suonare se non in incognito nel proprio paese (perversamente ci sarà un concerto natalizio, l’ultimo “vero” in patria, che ha sapori dickensiani).

Certo dopo decenni, e dopo una saga che è terminata il 14 gennaio 1978 a San Francisco, la formazione originale dei Pistols (unica abbreviazione concessa) non morde più e nelle proprie tournée degli ultimi vent’anni può apparire pittoresca come certi artisti che svernano a Las Vegas.

Però in questi mesi che sembrano precedere un winter of discontent 2017/18 – un altro, ben peggiore del precedente – in una Europa che (come titola un corsivo de Il Corriere della Sera del 20 settembre 2011[5]) si aggira come uno spettro per il mondo, la musica dei Sex Pistols nelle registrazioni d’epoca suona non datata, vitale e, ancora, pericolosa.

 

[1] Un capo d’abbigliamento che non passa inosservato e probabilmente può considerarsi un pezzo d’arte applicata (come un vestito di più di cinquanta anni fa di Pierre Cardin).

[2] Ciascuna diversa dalle altre: “Among the designs were […] and the Anarchy shirt which used stock from the 60s manufacturer Wemblex. These were bleached and dyed shirts and adorned with silk Karl Marx patches and anarchist slogans”: http://en.wikipedia.org/wiki/SEX_(boutique). Difficile la datazione, anche se la mia reca l’etichetta della “personal collection” McLaren-Westwood riferita alla fase Seditionaries del negozio. Gli altri slogan presenti sono: “Subversion it’s fun”, “Vision is the art of seeing the invisible”; “Only anarchists are pretty” e, ancora, “chaos”. Causalmente, un due a due per le parole che reputo più importanti tenendo presente che quanto scritto a stencil è più standard degli altri slogan scritti su pezzi di tessuto applicati.

[3] Dalla recensione di Neil Spencer del concerto al London Marquee del 12 febbraio 1976 per il New Musical Express (numero del 21 febbraio 1976). La frase è stata attribuita (anni dopo) a Steve Jones.

[4] Con un caveat: Lipstick Traces di Greil Marcus (seppure citato rispetto a due argomenti diversi) vuole provare troppo, forse affascinato ancora una volta dalle capacità incantatorie di Malcolm McLaren, dei Sex Pistols e, non lo si dimentichi, di un grande grafico come fu per quel  periodo Jamie Reid.

[5] Incidentalmente, cadeva il 35 anniversario di un concerto-consacrazione dei Sex Pistols, quello a chiudere la prima serata del “Punk Special” al 100 Club di Oxford Street.