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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
02/05/2022
Robin Trower
For Earth Below
Robin Trower è un chitarrista incredibile, di una classe e purezza cristallina. Nel corso della carriera non è mai sceso a compromessi, preferendo rimanere di nicchia e sconosciuto ai più, tuttavia il suo patrimonio artistico è incommensurabile. For Earth Below è sicuramente uno degli album da riscoprire, un viaggio travolgente attraverso il fuoco e la passione che incendiano l’anima.

La parola esistere deriva dal latino exsistere, e propriamente vuol dire uscire, levarsi, staccarsi (dalla terra) e quindi apparire, vivere. Per Robin Trower, londinese classe 1945, ha sempre significato prendere decisioni importanti per sentirsi vivo, staccarsi da quei progetti che lo avrebbero soffocato al fine di dare sfogo alla sua spiccata creatività, in nome di una libertà artistica non accomodabile, a costo di perdere importanti opportunità durante la carriera. Il suo spirito libero lo ha portato ad abbandonare a metà anni sessanta i Paramounts, ma soprattutto a lasciare nei primi settanta i Procol Harum del mai troppo compianto Gary Brooker per intraprendere il percorso musicale da solista, diventando leader della propria band, scelta e poi rinnovata negli anni sempre con artisti di altissimo livello.

Lo stile tipico di Trower, quello che lo distingue e influenza una sterminata lista di chitarristi, fra cui Warren Haynes, Joe Bonamassa, Eric Gales, Gary Clark Jr. e Doyle Bramhall II, nasce dunque con la pubblicazione, nel 1973, di Twice Removed from Yesterday, anche se frutto di esperimenti di un decennio. Per lui tutto inizia dal blues, da quel suono molto distorto di Hubert Sumlin e da un brano di Muddy Waters chiamato “Still A Fool”. Pure le atmosfere piacevolmente angoscianti di “Howlin’Wolf” fanno parte del suo background, così come Albert e B.B. King: risulta perciò discutibile la critica alla sua originalità, poiché spesso visto dagli esperti, dal pubblico e persino alcuni fan, come un clone di Hendrix. In realtà entrambi crescono con le medesime ispirazioni e ciò li conduce a elaborare un pattern simile.

 

“I paragoni con Jimi Hendrix non mi hanno mai dato fastidio perché ovviamente sono un grande complimento. C’è una sola cosa che mi sono spesso chiesto…se alla gente mancasse un aspetto, il fatto che avessi aggiunto qualcosa di personale, caratterizzante e carismatico al mio modo di suonare, non solo, quindi, derivativo”.

 

Messa da parte la conclamata divinità di Jimi e peraltro aggiungendo che lo stesso Trower lo ha sempre venerato e preso ad esempio, risulta un’esperienza profonda ed emozionale ascoltare il modo in cui il buon Robin fa esplodere la Stratocaster all’interno dell’amplificatore Marshall con il pedale Uni-Vibe. Le sue tecniche di vibrato e soprattutto bending sono uniche, e riecheggiano continuamente nelle successive pubblicazioni Bridge of Sighs, del ‘74 e For Earth Below, due dischi del periodo d’oro dell’artista inglese, da ricordare per energia e creatività, caratterizzati anche dal fascino della copertina, forma d’arte che non cessa mai di far sognare, ideata in entrambi i casi da Paul Olsen; “Funky”, questo il nickname dell’istrionico personaggio, è in grado di architettare un’intrigante cover soltanto conoscendo il titolo dell’album.

La collaborazione per l’artwork in realtà si protrae per le prime cinque opere, riprendendo poi negli anni novanta, ma in particolare colpisce in quella di cui ci accingiamo a parlare, For Earth Below (1975), estremamente estrosa e, in modo subliminale, suggestiva, raffigurante un tema comune di spazio e volume. L’opener “Shame the Devil” offre a riguardo proprio una “nuova dimensione”, nei suoi tre minuti di rock blues infernale pilotato da un basso pulsante, un’instancabile batteria e un riff ricamato su un wah wah incessante. La voce del cantante - e bassista - James Dewar è ruvida e potente, mentre l’epico Bill Lordan non sente fatica dietro alle pelli, c’è giusto il tempo per un pungente assolo di Trower e ci si catapulta nella psichedelica “It’s Only Money”, che enfatizza pure le sottovalutate doti compositive di Trower, il quale riesce ad attingere dalle sue radici blues per dare una struttura solida alla canzone, spingendosi però oltre i confini delle dodici battute, arrangiandola in modo molto personale in chiave hard. Il lamento e la malinconia della musica del diavolo, la rabbia e l’eccitazione del rock si mescolano e fondono in una nuova corroborante sintesi, laddove subentra anche la profondità delle liriche, “Sono solo soldi e i soldi non danno nemmeno soddisfazione”.

 

“Robin è uno dei rari maestri inglesi della sei corde che può stare accanto a quelli americani e suonare con eguale autorità la musica tradizionale a stelle e strisce”.

 

Parole forti, tuttavia per niente sorprendenti, scritte da Robert Fripp nel booklet della ristampa di For Earth Below del 1997. Dichiarazioni assolutamente condivisibili ascoltando "Confessin’ Midnight", evocazione “heavy rock” di Muddy Waters e Albert King, la seguente "Fine Day", insolita maratona chitarristica dove il protagonista riesce a umanizzare la Fender “Strato”, facendola torcere in capricciosi lamenti, e il pezzo forse più hendrixiano della raccolta, "Alethea", con un assolo, però di “produzione Trower” al 100%.

Ogni disco memorabile presenta in tracklist un brano sottovalutato ai tempi, che brilla di luce vera, da riscoprire. "A Tale Untold" comincia forte, con un inusuale tappeto di percussioni a riempire ogni spazio sonoro, per poi distendersi in una morbida cavalcata alla Bachman Turner Overdrive, con continui cambi di tempo e il primo formidabile solo di chitarra doppiato nei due canali, cui ne fa seguito un altro intenso, abissale e tenebroso, perfetto per rappresentare uno dei testi più poetici del musicista, gonfio di immagini, “Non ci sono luci intorno a questo porto, il mare si è girato ed è andato a dormire, lontano grida la sirena solitaria, o è una voce nella mia testa” e metafore, “Forse la fine è una storia mai raccontata, lontano grida la sirena solitaria, forse la fine di una storia non raccontata”.

"Gonna Be More Suspicious", scritta in partnership con il vocalist Dewar, ricorda nell’arrangiamento il classico "Born Under a Bad Sign" e mantiene alto il ritmo prima del pezzo finale, la title track, un’altra vetta dell’album, un’insolita ballata blues carica di suspense che profuma di Otis Rush.

 

For Earth Below risulta spumeggiante ed esalta le potenzialità del trio senza il minimo rimpianto per la mancanza di organo e tastiere: quanti mutamenti nel giro di pochi anni per il chitarrista! Dal rock barocco, proto-progressive dei Procol Harum alla formula ridotta della sua band, dall’iniziale Gibson all’adorata Fender. Ma, come specificato all’inizio della retrospettiva, nessun compromesso. Dopo uno sfavillante LP dal vivo, semplicemente intitolato Live (1976) e altri in studio dalla qualità decrescente con la stessa line up, arrivano i fatidici anni ottanta, difficili per tutti coloro presenti nello show business dai sessanta. Ecco, dunque, alcune variazioni di formazione, fra i quali l’arrivo dell’eccellente Dave Bronze a basso e voce, e la separazione dalla storica etichetta Chrysalis per avere maggiore libertà e nuovi stimoli: così giunge l’ottimo Passion (1987).  Da non dimenticare anche un progetto stimolante, l’apprezzata collaborazione con Jack Bruce insieme al compagno di mille avventure Bill Lordan, che sfocia nella compilation No Stopping Anytime (1989), tratta dai due lavori pubblicati. Nel decennio successivo, tra il ’93 e il ’94, sono da segnalare la partecipazione a "Taxi" e "Mamouna" - in quest’ultimo anche nelle vesti di coproduttore - di Bryan Ferry, e la realizzazione di "20th Century Blues".

Il nuovo secolo spinge Trower a creare una propria etichetta discografica: vengono concepiti alcuni dischi discreti che si sommano a diverse raccolte e straordinarie registrazioni live contemporanee e dei tempi passati. Brillante, vivace, amante del cambiamento; fra le sue dichiarazioni interessanti si fanno luce la stima per Jonny Greenwood dei Radiohead e il disappunto nei confronti dei politici, soprattutto per chi non mantiene la parola data. E proprio in questi giorni esce No More Worlds To Conquer per Provogue Records, ennesimo avvincente capitolo per un uomo che non molla mai.

 

“Robin Trower è terribilmente sottovalutato: eppure è uno dei grandi maestri della Strato”. (Joe Bonamassa)