Per chi non li conoscesse, i Föllakzoid sono un ensemble di origine cilena, formatasi a Santiago del Cile nel corso del 2007 e da qualche anno stanziali presso la capitale messicana di Città del Messico.
Nei primi tre album, Föllakzoid (2009), II (2013) e III (2015), la band miscelava tra loro elementi tipici del rock psichedelico, commistionati con una sensibilità kraut rock ed elementi elettronici.
A partire dal loro quarto album, I (2019), e nell’ultimo V (2023), tutti incisi per la Sacred Bones Records, dopo la dipartita di due dei musicisti fondatori, il gruppo risulta quasi sovrapponibile (anche nei concerti) alla figura di Dominga, musicista e video maker che intreccia la sua identità queer sia nel suono che nella presentazione dal vivo del progetto.
Ero molto curioso a vederli dal vivo, in quanto, a differenza di qualche recensione che ho avuto modo di leggere (che legava la “spiritualità” del gruppo a forme di esoterismo messicano) mi aveva colpito un recente messaggio su Facebook di Dominga, che risultava una ode-invocazione a Neferneferuaton o Nefertiti, meglio nota solo come Nefertiti, la cui storia merita di essere rievocata.
Nefertiti, grande sposa reale del faraone Akhenaton, è stata una regina egizia della XVIII dinastia la cui memoria, unitamente a quella del proprio sposo, è stata riscoperta dopo secoli di oblio. Il faraone, salito al potere con il nome di Amenhotep IV, è divenuto celebre per essere stato considerato un eretico, avendo abbandonato il tradizionale politeismo egizio a favore di una nuova religione di stampo monolatrico (ovvero con l’assoluta predominanza di un dio superiore alle altre rimanenti divinità non più, di fatto, oggetto di culto) che aveva quale dio tutelare, il disco solare, ovvero Aton.
Ora non volendovi addentrare troppo in una analisi delle divinità egizie, questo richiamo mi ha fatto tornare in mente come Amenofi IV decise di mutare il proprio nome appunto in Akhenaton, ovvero anche Ekhnaton, e qui i cultori dell’industrial music italica storica faranno un balzo, ritornandogli alla mente una compilation storica della musica sperimentale italiano, appunto Ekhnaton, con brani di gruppi storici come Maze 1066, Tasaday, Evitaxal e Tomografia Assiale Computerizzata.
La storia qui si farebbe lunga e tortuosa, in sintesi, la riforma religiosa portò all’abbandono della capitale di Tebe (dove esisteva una forte casta di sacerdoti dediti al culto di Amon (ed anche qui non si può non ricordare come uno dei moniker storici della dark ambient del nostro paese, è stato appunto Amon, dietro il cui nome si celava Andrea Marutti) e la costruzione di una nuova capitale che, dopo la morte del faraone venne di fatto abbandonata e quasi tutte le statue ed i monumenti costruiti del faraone vennero distrutti o mutilati ed il suo nome cancellato dalla lista dei reali.
La riscoperta delle rovine della capitale, nonché il fatto che il faraone fu il padre di un altro faraone, passato alla storia come Tutankhamon (attenzione alla parte finale del nome che prima era Tutankhaton che, per alcuni studiosi, significa "il restauro delle antichi culti") che tuttavia sembra non essere stato il figlio di Nefertiti, determinò, alla pari della riscoperta delle forme artistiche tipiche di quella dinastia (tra cui spicca il busto appunto di Nefertiti) un rinnovato interesse per il faraone e per la di lui moglie che sembrerebbe possa aver regnato per un periodo di tempo dopo la morte del consorte e che, nelle cerimonie religiose accompagnava il marito nel rito della divina adorazione
Ora, al netto del fatto che mi sarebbe piaciuto molto chiedere il perché di tale citazione, passiamo al concerto.
Essedo arrivato in ritardo non ho potuto assistere al live del gruppo di supporto, i Torba, giungendo in tempo tuttavia per il concerto dei nostri che, per l’occasione, erano accompagnati da un batterista.
Il concerto è stato di fatto la presentazione del nuovo album V e di alcuni brani del precedente I per la durata di un'ora e venti circa, con il gaudio dei numerosi fan intervenuti.
Dal vivo i Föllakzoid scontano il fatto che, a differenza dell’incisione discografica curata da un nome di culto della scena elettronica degli ultimi 25-30 anni quale Atom™, le stratificazioni sonore di tale musicista non possono essere riprodotte nel dettaglio dal vivo e quindi, penso anche per scelta volontaria, oltre che necessitata, il live esalta l’aspetto fisico del sound della band, rispetto a quello maggiormente cerebrale delle incisioni sopra richiamate.
Dunque, ecco che i brani (che negli ultimi due album non hanno titolo alcuno ma seguono una essenziale numerazione romana) si susseguono l’un con l’altro in un continuum sonoro basato su un bpm abbastanza sostenuto che, verso la fine del live giunge ad una pulsazione quasi techno.
Spazio quindi ad un uso abbondante di sequenze digitali e analogiche percussive, che si fondono insieme a incalzanti cadenze di synth, cosicché il suono si fonda bordoni sintetici sui quali si sviluppano degli effetti di feedback chitarristico per creare uno stato di trance musicale al cui il pubblico si abbandona.
Anche la scenografia risulta coerente con la proposta musicale volta ad “asciugare” la proposta musicale per condurla ad una sorta di flusso percettivo potente ma minimale, con uso quasi costante di luci blu e violette, squarciate da lampi abbaglianti da cui, da una cortina fumogena, emerge la front-woman che (nota di colore) fuma quasi continuamente sul palco.
Insomma, per concludere e rendere in maniera sintetica e plastica il mood a cui il gruppo ha condotto chi ha partecipato al concerto, non posso che richiamare icasticamente alla mente una famosa strofa del grande Franco Battiato in una delle sue più celebri canzoni “Voglio vederti danzare”: "nei ritmi ossessivi la chiave dei riti tribali”.