Credetemi: l'Alan Sorrenti del periodo prog a me ed ai miei amici di scuola non piaceva, anzi, lo prendevamo bellamente per il culo. Un tritapalle, era la definizione più comune che davamo di lui e dei suoi dischi, e non è che fossimo appassionati di Orietta Berti o degli Santo California; no, no.
Prendi il "Boccia" ad esempio: 120 chili di stazza tutta votata alla musica, agli stereo e alle canne, grande esperto di prog inglese e di hard rock, che quando gli nominavi l'artista napoletano minimo minimo si incazzava con te e lo definiva una specie di "Cugino di Campagna" in acido.
Le cose non migliorarono con l'uscita di Figli Delle Stelle, anzi. Chi gli dava di "traditore" (gli stessi che non lo sopportavano prima) chi di "venduto al sistema" (già, le case discografiche sono note per il loro mecenatismo) e cosa assai più grave, piaceva alle ragazze, ma proprio tanto.
Il solito Boccia una mattina durante la ricreazione, tra una baguette all'insalata russa e un trombino arrivò alla conclusione che il bel Alan avesse perso il capo, ovvero che si fosse ammattito.
Niente di tutto questo ovviamente e se Sorrenti "perse il capo" fu per la California e per i suoi musicisti. L'incontro con Jay Graydon, all'epoca intruppato con Al Jarreau, fu decisivo per dare la svolta alla carriera di Sorrenti e come vedremo anche alla musica popular italiana.
Si, noi facevamo gli schizzinosi allora, ma sotto sotto sentivi che Figli Delle Stelle aveva quel qualcosa in più delle solite canzonette italiche da classifica (a proposito, l'album scalzò dal numero uno i Bee Gees di Stayin' Alive) un qualcosa che avevi già ascoltato nei pezzi di Lucio Battisti. Ecco, primo punto fermo del discorso: Alan Sorrenti fece propria la lezione del cantante reatino.
Insomma, per farla breve, molti di noi lo ascoltavano di nascosto, ma per capire bene la portata del disco dovranno passare molte primavere.
Si è scritto che tutto il lavoro risente dell'influsso della disco music; sì, ma solo in parte.
Nella title track, ad esempio, il ritmo va in quella direzione ma è ben bilanciato da una peculiare linea melodica, da un intro di piano jazz e da un riff di chitarra (uno dei più belli e caratteristici di tutta la musica italiana) che lo riconoscerebbero persino ad Ulan Bator.
Già nel secondo brano "Donna Luna" si affina il discorso tutto sbilanciato in territori westcoastiani, quelli del pop di classe introiettato di soul e funk che il binomio Graydon/Foster stava creando per i posteri in quei giorni. Una canzone con un groove che niente ha da invidiare a modelli più alti, impreziosita da un assolo di sax lascivo e lussurioso.
Sorrenti lavora di fino e con stile; ascoltate "Passione" ad esempio, cantata in lingua napoletana oppure la bossa che si tinge di samba in "Casablanca".
Come ogni buon album che si rispetti c'è spazio anche per due ballad: "C'è Sempre Musica Nell'Aria", costruita su piano e chitarra acustica, è quella che ci riporta alla tradizione italiana, forse stona un po' nel contesto, pensate se al suo posto ci fosse stata "Per Sempre Tu"... Apoteosi!!!
Va be', accontentiamoci, anche perché l'altra ballad è "Tu Mi Porti Via" e questa ci sta dentro con tutti e due i piedi; mi piace tantissimo quel suo ritornello spezzato, quel bridge finale che dà al brano un respiro internazionale e quella sua atmosfera da crepuscolo su Venice beach. Gran finale con "Tu Sei Un'Aquila E Vai", dall'intro disco e dal prosieguo rock-funk in stile Doobie's.
"Sì ma i testi", disse il ragazzino brufoloso seduto nell'ultima fila con la manina alzata.
I testi, questi testi, i benedetti testi. Ma dico: noi italiani, abbiamo avuto Frescobaldi, Lulli, Salieri, Verdi, Puccini e cosa dicevano? "Prima la musica, poi le parole", ma nell'Italia degli anni 70 questo assioma venne ribaltato, si guardava prima al testo e poi alla musica.
Un altro esempio: le parole di "Un Incontro In Ascensore".
"Che ore sono, ah... le cinque del mattino, di già e il taxi va via veloce lasciandomi con tutte le valigie, in un albergo del centro, ?io prendo la mia roba ed entro dentro, il portiere è immerso nel sonno, un leggero rumore di tacchi e per incanto arriva lei"
Ancora un esempio, questa volta di un brano di Lucio Battisti, "Neanche Un Minuto Di Non Amore" come il precedente uscito nel 1977: "Salgo in auto e parto e corro verso te, al telefono mi hai detto si, d'accordo alle tre, dal timbro della voce non sembravi tu, quel tono che mi piace no, non c'era più, che cosa è accaduto, quando è accaduto, no, non è possibile, improvvisamente no..."
Cosa hanno in comune queste due canzoni, a parte il descrivere due situazioni da fotoromanzo e con il medesimo accompagnamento sonoro funk-disco ?
Ma la metrica, perdio, la M-E-T-R-I-C-A !
Quella per cui se anche tu vai a declamare in versi l'elenco del telefono la canzone avrà l'effetto di una sanguisuga, la metrica, il ritmo delle parole, strofa-strofa-ritornello-strofa-ritornello.
Ma vi siete mai chiesti perché le canzoni dei cantautori di quegli anni ti facevano venire il latte ai coglioni? Perché non avevano la metrica, il ritmo!
Dice che vi avevano rinunciato per "esigenze di carattere sociale", pensa te.
Provate oggi ad ascoltare una qualsiasi canzone del 1977 senza metrica ma dal testo "denso" di significato e quelle degli esempi di cui sopra e ditemi quale vi rimane più impressa.
Ritornando a Figli Delle Stelle va detto che il disco suona moderno ancora oggi, come se gli anni passati lo avessero attualizzato, cosa che non è accaduta con i lavori prog di Sorrenti, che sanno di "vecchio", appartenenti ad un'epoca passata.
L'impatto che il disco ha avuto nella società italiana di allora fu enorme: un milione di copie vendute, un film realizzato sull'onda del successo (che non ho visto, ahimè) citazioni colte nel brano "Bandiera Bianca" di Battiato, una strofa recita "siamo figli delle stelle pronipoti di sua maestà il denaro", e prese per il sellino da parte degli Squallor in "Radiocappelle", dove la voce di Daniele Pace declama: "Con i nostri dischi gay, con la musica nostra, del Movimento Fuori... Primo posto oggi, ‘Siamo i figli delle triglie’ cantata da Trutrutrutrutrù"...
Un impatto che mostra la sua onda lunga ancora oggi: nella canzone "L'Estate Di John Wayne" di Raphael Gualazzi uscita lo scorso anno c'è una strofa che fa: "torneranno i figli delle stelle, sui tuoi sedili in pelle."
A tutti quelli che diedero del venduto a Sorrenti vorrei ricordare che con le vendite di Figli Delle Stelle forse, anzi, sicuramente, sarà stato finanziato qualche progetto "artistico" da parte delle major; provate a chiedere se con la miseria di oggi fanno lo stesso.
A tutti quelli che ne dissero peste e corna, sono sicuro che non hanno mai ascoltato il disco per intero ma si sono limitati alla title track.
In conclusione, e visto che quest'anno saranno trascorsi quarant'anni dall'uscita di Figli Delle Stelle, perché non pensare a far uscire un bel disco celebrativo, rimasterizzato e alla bisogna, con qualche inedito ?