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REVIEWSLE RECENSIONI
03/06/2021
Paul Weller
Fat Pop (Volume 1)
A meno di un anno da On Sunset, Paul Weller torna con un disco che raggruma tutto il suo background, declinandolo con una vena pimpante ed energica

Paul Weller ha sempre avuto l’indiscusso merito di non fermarsi mai, sempre in movimento, alla ricerca di nuove espressioni di un’idea di musica, legata al passato, certo, ma con lo sguardo prontamente rivolto al futuro. Non si è mai arroccato su una posizione, per quanto redditizia, non ha mai voluto vivere di rendita, prendendosi dei rischi e i relativi inciampi.

Nell'inebriante era post punk, che ha poi, ceduto i riflettori alla new wave, ha portato la sua band, The Jam, a diventare un'istituzione iconica a sé stante, arroventando col punk un suggestivo retroterra mod, beat e R&B. Con gli Style Council, sua successiva creatura, Weller ha virato verso un approccio musicale più morbido e sfumato, adottando forme espressive contigue al jazz (ma con un tocco leggero che conteneva elementi accessibili a una numerosa platea pop), per declinare i suoi testi politicizzati e militanti. Il suo istinto irrequieto, alla fine, l’ha portato nuovamente a cambiare strada e a riflettere sull'influenza di quelle icone del passato (Small Faces, Traffic, Who e Kinks) che da sempre lo avevano ispirato, dando vita a quattro decenni di carriera in costante evoluzione, il cui punto fermo è stata la coerenza di seguire, sempre e comunque, il proprio istinto.

Il suo nuovo album, Fat Pop (Volume 1), arriva meno di un anno dopo l’ultima pubblicazione, On Sunset, e lo trova nello stato d'animo congeniale (lo stop imposto dalla pandemia e maggior tempo a disposizione) per rovistare nei propri armadi e scegliere un abito, i cui colori sgargianti, riflettano quel sapere immenso che spazia, con la consueta maestria, fra generi disparati (rock, pop, elettronica, R&B, soul, folk).

Un disco, tra l’altro, che lo trova a condividere i riflettori con sua figlia Leah, accreditata come co-autrice della sognante Shades Of Blue, con la cantante Lia Metcalfe (The Mysterines), con cui duetta in True, e con il leggendario Andy Fairweather Low, la cui voce dà ulteriore nerbo al funky ondeggiante di Testify. Hannah Peel, poi, è arruolata per arrangiare gli archi in Glad Times, Cobweb Connections e Still Glides The Stream, dando a questi brani quel tocco Philly Soul che tanto andava di moda negli anni '70 e gran parte degli anni '80.

Detto questo, l'intero album, inaspettatamente, visto i tempi che corrono, sfoggia una vena pimpante, energica, attraversata solo, di quando in quando, da quel retrogusto agrodolce e malinconico, a cui spesso Weller ci aveva abituati in passato (ciò che accade, ad esempio, nella conclusiva Still Glides The Stream, a parere di chi scrive la migliore canzone del lotto).  

E’ la visione d’insieme, quindi, a essere vincente, quell’indubbia capacità che Weller ha di equilibrare la scaletta, inserendo con gusto momenti introspettivi in un contesto decisamente giocoso, e facendo convivere graffi garagisti (True) a deliziose ballate soul (Glad Times), senza che l’accostamento risulti disturbante.

Il Modfather consegna alla storia, in meno di un anno, un altro disco che può decisamente essere annoverato fra i migliori della sua carriera. In fin dei conti, Weller rimane un maestro nel creare album sofisticati e affidabili, attraversati da quei lampi di magia, che lo rendono uno dei più ispirati songwriter inglesi di tutti i tempi.


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