Richard Linklater è un regista prolifico che non teme di sperimentare, nella sua filmografia si annoverano una trilogia (Before sunset e successivi), un paio di film realizzati con la tecnica dell'interpolate rotoscoping (Waking life e A scanner darkly), l'acclamato dalla critica Boyhood per realizzare il quale Linklater ha tenuto aperto il progetto per oltre dodici anni al fine di catturare la crescita naturale del suo protagonista, l'attore Ellar Coltrane, e anche questo Fast Food Nation, film tratto da un saggio del giornalista Eric Schlosser, per adattare il quale Linklater trasporta una materia che sarebbe stata perfetta per un documentario in un film di finzione che per molti aspetti ricorda lo stile documentaristico mischiato a quello delle classiche narrazioni di denuncia, confezionando il tutto facendo ricorso a un cast ben fornito di star tra le quali non manca l'attore feticcio del regista, Ethan Hawke. Come è facile dedurre dal titolo, sotto accusa c'è la catena produttiva che porta il cibo sui tavoli dei fast food, carne consumata da milioni di americani e che si rivela cibo non troppo salubre (ormai lo sanno anche i muri, certo), ma Fast Food Nation non si limita a questo, partendo da qui e correlando le tematiche il film affronta anche la condizione che gli immigrati clandestini messicani si trovano ad affrontare una volta arrivati in America, e quindi violenze, soprattutto sulle donne, mancata sicurezza sul lavoro, garanzie e rispetto inesistenti e impossibilità di avere giustizia in caso di episodi avversi.
Don Anderson (Greg Kinnear) del reparto marketing della Mickey's Food Restaurant è reduce dall'enorme successo del Big One, un hamburger di grandi dimensioni che sta spopolando nella catena di fast food della Mickey's. Don viene convocato dal direttore dell'azienda per delle verifiche, si dovrà recare nello stabilimento dove viene prodotta e confezionata la carne usata per gli hamburger della Mickey's, alcuni universitari infatti hanno effettuato delle analisi sulla carne scoprendovi all'interno un'alta concentrazione di feci. Com'è possibile che della merda finisca dentro la carne che mangiano milioni di americani? E ancora, cosa sta combinando Harry Rydell (Bruce Willis), l'uomo che per conto dell'azienda dovrebbe controllare la qualità del prodotto? In parallelo, dal deserto del Messico, alcuni immigrati clandestini tra i quali Sylvia (Catalina Sandino Moreno), suo marito Raul (Wilmer Valderrama) e Coco (Ana Claudia Talancón), attraversano illegalmente il confine andando a finire a lavorare proprio nello stabilimento incriminato. Quando Don arriva sul luogo si ferma a mangiare nella sede locale di Mickey's dove fa conoscenza con Amber (Ashley Johnson) una dipendente modello della catena, la giovane, spinta anche dallo zio Pete (Ethan Hawke), inizia a riflettere sul suo posto di lavoro, si unirà a un gruppo di ragazzi decisi a far qualcosa per fermare lo sfruttamento intensivo del bestiame destinato a trasformarsi in tanti Big One da distribuire in tutto il Paese.
Linklater sceglie di imbastire una narrazione corale che permette al regista di affrontare diverse tematiche, le storie dei vari protagonisti confluiscono e si trovano in qualche modo tutte ad avere a che fare con l'industria della carne, gli argomenti trattati non giungono nuovi ma sono presentati in modo da creare il giusto interesse nello spettatore, sul finale si ricorre anche a qualche immagine più forte girata dentro il macello a sottolineare lo spirito animalista del progetto oltre a quello di denuncia sull'operato dell'industria della carne la quale offre un prodotto non conforme per massimizzare i profitti abusando anche della manodopera, qui si apre il discorso sul lavoro nero, sullo sfruttamento violento delle minoranze, sulla mancanza di sicurezza sul lavoro e infine sull'impunità diffusa di cui godono queste grosse aziende. Linklater si avvale di un cast di star, oltre a quelle già citate abbiamo anche Kris Kristofferson, Patricia Arquette, Bobby Cannavale, Avril Lavigne, Paul Dano e Luis Guzman, Fast Food Nation si apprezza sia sul lato dei messaggi che vuole veicolare sia su quello dell'intrattenimento, al di là dei contenuti il film offre una visione piacevole e tutto sommato coinvolgente. Il detto "il pesce puzza dalla testa" si può adattare anche alla carne quindi, volendo parlare per metafore rimandiamo alla visione di The Founder (ne parlammo qualche mese fa) per capire come il marcio stia già nelle fondamenta, purtroppo le derive non sono meglio e come afferma il caro Bruce Willis purtroppo "tutti nella vita dobbiamo mangiare un po' di merda prima o poi", basta cuocerla alla temperatura giusta.