Era da tempo che promettevo alla redazione di scrivere questo pezzo, la scintilla definitiva mi è venuta leggendo l’ultimo numero della rubrica mensile “Fratelli d’Italia”, che Federico Guglielmi (uno dei più grandi giornalisti italiani rock) ha pubblicato su Blow Up di gennaio 2024.
Lascio a voi la lettura di tale articolo, dove si narrano le vicissitudini di un gruppo nascente in merito alla richiesta di recensione del loro prodotto, del comportamento (a dir poco) scorretto di una webzine e le successive analisi (assolutamente condivisibili) sulla professionalità di chi scrive di musica sia professionalmente che per passione.
Dopo aver letto la rubrica, da un lato ho immaginato la tristezza che possa assalire chi cerca di promuovere la propria musica di fronte a tali situazioni; dall’altro, amando la storia e considerando la musica una cosa sacra, ritengo quanto descritto, utilizzando un termine antico con una interessante storia dietro, un atto di simonia: ovvero la compravendita di beni spirituali commesso da chi realizza tali commerci (l’etimologia deriva, da Simon Mago, ovvero quel samaritano che chiese agli apostoli Pietro e Giovanni, in cambio di denaro, il privilegio di conferire lo Spirito Santo).
Perché sono partito da questa introduzione? Perché mi è tornato in mente come le webzine odierne, allo stesso modo delle fanzine dell’epoca, si posizionano su un crinale difficile, dove (parafrasando un classico del noto psicologo e filosofo Erich Fromm) il doveroso essere uno strumento libero di informazione, può essere insidiato dall’avere, ovvero dalla tentazione se non addirittura il convincimento di trarne dei benefici di natura ultronea rispetto alla passione.
Sinceramente mi sono sempre sentito un musicofilo, un amateur, ovvero qualcuno che nel suo piccolo scrive per puro diletto; quindi, la mia barra di navigazione è sempre stata quello di recensire ciò che mi piace evitando di scrivere di ciò che invece non mi piace.
Certo, mi si potrà obiettare che questo non dovrebbe essere l’ethos di chi scrive di musica, ma a tale obiezione rispondo che non facendolo come professione, tale (infondata) accusa non può essermi addebitata, se non di essere “parziale” nelle mie scelte, ma ciò riguarda tutti noi che scriviamo e tutti voi che leggete.
Sfido difatti chiunque a negare di avere delle preferenze musicali e di orientarsi primariamente nella lettura di quelle del genere che piace, ferma restando la curiosità intellettuale di cercare di scoprire musica che suoni nuova alle proprie orecchie.
Ecco, questo, penso sia il “retaggio” del mio essere un amante da sempre delle fanzine, ovvero l’amore verso un certo tipo di sonorità ed il desiderio che chi suona quel genere possa trovare una platea ricettiva (e auspicabilmente più ampia) alla proposta fatta.
Fatte tali necessarie (e non richieste) premesse, dedichiamoci alle fanzine. La stessa parola di origine anglosassone le definisce: fanzine è un termine dell’inglese moderno che, con una crasi tipica del mondo linguistico anglosassone, unisce due termini: magazine (rivista) e fan (diminutivo di fanatic ovvero di appassionato). La fanzine è quindi una pubblicazione effettuata da amatori di una particolare subcultura (genere letterario, genere musicale, fantascienza, fumetti, cinema e chi più ne ha ne metta) di natura indipendente, autofinanziantesi e senza una specifica cadenza periodica.
Alcune di queste pubblicazioni (in realtà molto poche), nate come fanzine, nel tempo sono divenute riviste, (si pensi a Rockerilla, allo stesso Blow Up), quasi tutte invece hanno sospeso o interrotto le pubblicazioni per svariati motivi: perdita di passione, costi economici insostenibili, difficoltà giuridiche in tema di registrazione della testata (in Italia per qualsiasi tipo di pubblicazione a mezzo stampa, occorre registrarsi, ecco perché in moltissimi casi le fanzine risultavano essere supplementi a Stampa Alternativa od ad altre testate già registrate).
Ora, per chi le ha avute sottomano sembrano (e sono) un pezzo di storia musicale: pagine il più delle volte fotocopiate e spillate insieme, editing e lay out “artigianali”, grande uso di forbici, colla e trasferelli (sì, proprio quelli che usavamo a scuola, ricordate?) per creare le pagine; testi talvolta scritti a mano, in bella (o talvolta no) grafia, ovvero da macchine da scrivere, oramai rottamate dai pc, notebook etc., senza ovviamente alcuna formattazione del testo e ogni tanto, a fronte di errori rilevati, l’uso (orrore) dello sbianchetto.
La struttura delle fanzine è la stessa delle webzine, quindi si trovavano recensioni, interviste, live report, traduzioni di testi in inglese, raccolte di poesie, ovvero tutto (o quasi) quello che si trova in una webzine; quali sono quindi le due grandi differenze (ed i relativi vantaggi che possiedono le webzine ed i loro fruitori rispetto alle fanzine e a chi le acquistava)?
In primo luogo, lato fanzine, il supporto fonografico allegato, di norma una K7 (audiocassetta) che veniva duplicata, artigianalmente o professionalmente, in alcuni studi che si prestavano a farlo per delle tirature molto limitate. A chi al solo pensiero inorridisce sulla qualità sonora ricordo che quello che motivava chi scriveva (e acquistava) non era tanto l’alta qualità del suono, ma l’urgenza espressiva che covava dietro. Inoltre, si noti che il formato cassetta sta tornando in auge anche per i costi contenuti di produzione rispetto al cd/lp, oltre che come mezzo di autofinanziamento.
In secondo luogo, lato fanzine e anche del loro lettore del passato, il mondo intorno alla musica è TOTALMENTE cambiato. Chi cercava suoni diversi dal mainstream si scontrava con delle difficoltà oggi inconcepibili.
Il primo e principale problema era dove ascoltare questa musica: non esisteva internet, non esistevano podcast, non esistevano tv via cavo con canali dedicati, c’erano in pratica pochissime occasioni per ascoltare (prima del necessario acquisto, non esistendo la possibilità dell’ascolto tramite streaming) ciò che si stava cercando o che si desiderava trovare. Le radio “libere” dedicavano alcune rubriche (i milanesi più “maturi” ricorderanno “Zero Zero” su Radio Popolare), ma la trasmissione in modulazione di frequenza (le mitiche FM) era connessa al tipo di ripetitori in dotazione (di solito con una capacità di trasmissione a poche decine di km dal luogo fisico dell’impianto). Di conseguenza, uno dei metodi più adottati era anche banalmente il passaparola.
Il secondo problema era la distribuzione delle fanzine e degli stessi dischi: come si acquistavano? Non esistendo, come detto, le piattaforme in streaming, siti commerciali su internet (o internet), l’acquisto avveniva in pochi negozi musicali selezionati (le fanzine ovviamente in conto vendita) o solo per posta, magari richiedendo il catalogo, o spulciando le pubblicità di alcuni negozi che proponevano inserzioni pubblicitarie sulle riviste musicali.
Il terzo problema (in questo caso per l’ascoltatore) era il costo del vinile. Posto che il fruitore della zine di solito era un ragazzo/a con poche disponibilità economica, a fronte di diverse proposte musicali sia estere che italiane, il problema era evitare la cosiddetta “sola” (dicesi comunemente “fregatura”); quindi, in caso di acquisto “al buio”, si chiedeva un “fugace” ascolto lasciato alla bontà e disponibilità del proprietario del negozio, oppure ci si scambiava le cassette (difficilmente i dischi) tra i pochi amici con gusti similari.
Da questo punto di vista quindi l’allegato sonoro alla rivista da un lato nobilitava la stessa, da un lato permettendo al gruppo una notorietà, seppur limitata alla tiratura della zine (di solito di poche centinaia o, nei casi migliori, 2 o 3 migliaia copie), dall’altro invogliava l’acquisto e permetteva all’acquirente di farsi una idea su quel gruppo cosicché, nel caso in cui lo stesso incidesse una ulteriore cassetta o addirittura un vinile, esisteva un track record su cui basarsi.
Storicamente, il problema della chiusura di due delle fanzine più importanti dell’epoca ovvero Rockgarage (i cui soli supporti sonori sono stati stampati, alla pari di Nuances, da Spittle) e VM è stato legato proprio alla volontà di allegare alla rivista un LP (nel caso di VM addirittura un doppio!); il costo di produzione relativo ha difatti ha determinato una crisi finanziaria divenuta irreversibile.
Per quanto riguardo nello specifico le fanzine post-punk, in Italia le stesse si concentrarono tra il 1980 e il 1985, al netto di un’influenza abbastanza marcata dell’estetica dell’epoca legata anche dal punto di vista letterario ai poeti cosiddetti maledetti. L’elenco, seppur non sterminato, non è comunque così limitato, ricordo in ordine sparso (chiedendo anticipatamente scusa a chi non ho citato per mancanza di memoria o, più banalmente, per non averne mai comprato una copia): Anestesia Totale, Masquerade, Urlo Wave, Snowdonia, Colpi di Tosse, Nuova Fahrenehit (più sul punk, come T.V.O.R., acronimo di Teste Vuote Ossa Rotte), FREE, con una grafica di alto livello e stampa professionale, la già citata Rockgarage, e poi per venire alle ristampe di Spittle: Komakino e Tribal Cabaret.
Ritengo infatti assolutamente meritevole il lavoro di ristampa di alcune di queste fanzine fatto da Spittle Records, un’etichetta che, per chi vuole ricomprare o riscoprire le produzioni underground italiche sia wave che punk, possiede un catalogo davvero molto interessante.
Sulla falsa riga delle citate Nuances e Rockgarage (di cui tuttavia non sono ancora riuscito a recuperare una copia e che, per tale motivo, coerente con quanto sopra detto, non sono oggetto del presente articolo) i dischi Afterglow, Still Life e The Other Side of Futurism, ripresentano su vinile quanto originariamente presente sulle audiocassette allegate alle riviste Komakino e Tribal Cabaret (che ha ripreso da qualche anno le pubblicazioni!), oltre a contenere una copia delle riviste in oggetto.
Troviamo infatti nelle riviste in oggetto praticamente tutto il gotha italico ed estero di quel periodo.
The Other Side of Futurism è il nr. 5 di Tribal Cabaret ed è tutto dedicato alle interviste di Litfiba, Not Moving, Sex Gang Children, Frigidaire Tango, Neon, Krisma, Plasticost e Wax Heroes (ed altri). L’allegato sonoro (con preferenza al mondo elettronico) contiene brani di Video Zona, Nocteau, Cloudy Doll, A.T.R.O.X., Daniele Ciullini (che a sua volta editatava Nuances), Die Form, F.A.R. etc.
Still Life è il nr. 8 di Komakino, con recensioni su Cocteau Twins, Siberia dei Diaframma, Catalogue Issue dell’IRA records, Dali’s Car, This Mortal Coil, U2 (The Unforgettable Fire) e tanti altri. Il disco allegato presenta un brano dei Karnak (gruppo fiorentino di super-culto), Limbo, DE Stijl (con due brani che saranno altresì allegati al doppio vinile di VM 5), Janitor Of Lunacy (grande gruppo misconosciuto) e Panoramics.
Afterglow è il nr. 7 di Komakino, con intervista ai Weimar Gesang, articoli su due gruppi torinesi quali i Monuments e i Deafear, recensioni di Eden degli Everything But The Girl, Brilliant Trees di David Sylvian, e altro ancora. Sul vinile troviamo tracce di Mono, Faded Image, Dark Tales, Aidons la Norvege (penso che la cover del loro EP, La Sfida, sia una delle più belle di tutta la new wave-dark italiana, e tre brani dei Weimar Gesang, il gruppo milanese a mio parere più raffinato dell’intera scena del nostro paese).
Proprio i Weimar Gesang mi permettono di chiudere questo articolo parlando della fanzine a mio modesto parere migliore dell’intero periodo: VM la cui redazione era composta praticamente da due persone, Alessandro Limonta e Alessandra Sauer, nonché, proprio come succede per Loudd, da persone che la leggevano e proponevano recensioni ed interviste.
Non avendo null’altro da aggiungere rispetto a quanto detto dallo stesso Alessandro Limonta, vi invito a leggere l’intervista da lui rilasciata qualche anno orsono che potete trovare sul blog sullamaca.it.
In chiusura vi confido, il motivo per cui ho sempre preferito VM (seguita a stretto giro da Komakino) rispetto a tutte le altre: a differenza di molte altre fanzine (e non solo, anche di riviste dell’epoca) lo stile di VM era semplice, diretto, cercava di far comprendere al lettore lo stile e il sound del gruppo, evitava di fare recensioni “artistoidi” e/o “esoteriche”, talvolta inutilmente “disturbanti” nella volontà di apparire alternativi a tutti i costi (anche da parte degli intervistati); insomma, offriva una guida pratica di modo che chi fosse interessato potesse orientarsi nella scelta della band o del disco che potesse piacergli, cercando di ovviare ai problemi sopra descritti relativi alla scelta dell’acquisto di un album rispetto ad un altro (ognuno di noi lo sa, il desiderio infinito di ascoltare musica si scontra con le risorse limitate economiche e di tempo).
Non voglio farvi credere che fossero tutte rose e fiori, rileggendole ora, con altri occhi e maturità diverse, da un lato emerge dalla loro lettura un tocco di “presunzione” nel dichiararsi alternativi a tutti i costi; dall’altro lato i richiami estetici risultano sicuramente oramai “datati”, ma ciò che continuo ad apprezzare è la passione messa da tutti questi (all’epoca) ragazzi che, all’insegna del DIY (Do It Yourself), cercavano di promuovere la musica che amavano.
Le fanzine sono un pezzo di storia musicale italiana ed è giusto rendergli omaggio, in fondo sono un po’ come le grandmothers delle odierne webzine che, da un certo punto di vista, pur essendo cambiato completamente il mondo musicale e la fruizione stessa della musica, continuano ad alimentare lo spirito di chi, amando la musica, cerca di dare dei criteri di lettura difficilmente reperibili nel mondo dei media più commerciali.
Per tale motivo, come cadeau di inizio anno, ecco il link da dove poter scaricare gratuitamente tre dei cinque numeri di VM con i relativi allegati sonori: htpps://produzionivm.bandcamp.com