Siamo “Zombies”. Noi e loro.
Apparteniamo ad un'era che è andata seppellita dalla storia e nonostante tutto ancora ci ostiniamo ad ascoltare e a suonare vecchie nenie che abbiamo imparato a memoria. Ancora e ancora. Vanno di moda gli zombie: in tv, sui giornali. La musica, quella musica obsoleta, è fatta da zombie per noi zombie. Che ancora compriamo cd, che rimpiangiamo i vinili che con sprezzo del ridicolo ci affanniamo a rincorrere nei mercatini del bric-a-brac, che spendiamo capitali in quelle mostre dove dei filibustieri senza scrupoli, sapendo che hanno davanti degli zombie, ti cavano il sangue dalle tasche e che poi nascondiamo (imboschiamo!) quei dischi alle nostre mogli/compagne/amiche come un frutto della colpa.
Ma loro, perdio, loro che subito diventarono morti che camminano negli anni settanta, che se ne uscirono con quel "Shake Some Action" che sembrava scritto dieci anni prima e che, bastardi loro, ti attaccarono quella mania del passato, di quello che c'era quando tu eri giusto pronto per il biberon o per giocare ai cow-boy e che nonostante le nuove mode/miti e musiche liquide ancora imperterriti dopo quarant'anni da quel disco insistono, eccome se insistono, con gli Stones più paraculi e puttanieri, con i Byrds di Mister Tamburino, con la banda dei quattro di Liverpool, finanche le mie trombe di Eustachio hanno colto vaghe note dei Searchers e dei Blue Oyster Cult, queste mashuppate ancora con i Byrds, e poi quelle voci armonizzate, quel suono cristallino di chitarre, quelle canzoni da zombie per zombie.
Un bel ritorno, e qui verrò a svelarvi di chi parlo, quello dei Flamin' Groovies; lo ascolteranno quei due sopravvissuti degli anni 70, perché il terzo è morto e non ritorna.
Fantastic Plastic recita il titolo sulla copertina del disco, dove, guarda caso, gli zombie che non siamo altro assistono ad un concerto di mostri diretti da quel succhiasangue di Dracula, che, lui si, invece dei i soldi ha preso la nostra anima e non la molla.