Il rock, si sa, è anche letteratura. C'è la musica, ci sono i dischi e i concerti. Ci sono, però, anche le leggende, tramandate di generazione in generazione, i miti di dannazione, la cronaca nera, e storie, a volte vere, e altre palesemente inventate, che hanno comunque contribuito ad amplificare le suggestioni attorno alla vita di un artista o di una band. Credo abbiate presente di cosa parlo: Jim Morrison ancora vivo, Kurt Cobain ucciso dalla moglie, Paul McCartney morto nel 1966 in un incidente d'auto, i riti satanici di Plant e Page, l'omicidio di Peter Tosh e quello di Marvin Gaye, le crisi epilettiche di Ian Curtis, l'aereo di Buddy Holly e Ritchie Valens. Di quanti misteri, aneddoti, tragedie e inquietanti pettegolezzi è costellata la storia del rock? Un'infinità, direi: basterebbe fare un salto in libreria per accorgersi dell’esistenza di una ponderosa quantità di libri che trattano la materia. Leggende che si trasformano in realtà, e fatti veri che acquistano l’aura di leggenda. Una delle storie che più di altre è capace di accendere la fantasia è quella che riguarda Gram Parsons, chitarrista sublime, musicista rivoluzionario, membro di band storiche come Byrds e Flying Burrito Bros. Gram, detto" faccia d'angelo", per i tratti delicati del viso e l'eterea bellezza, morì a soli 27 anni per un overdose di eroina, non prima di lasciare ai posteri due dischi epocali, capaci di riscrivere la cifra stilistica del roots americano e di aprire il futuro alle avanguardie dell'alt-country. Parsons, chi era costui? Un giovane infelice, soprattutto, che nella musica trovò la propria redenzione e il proprio riscatto da un'esistenza marchiata da miserie morali e affettive. Il padre suicida, la madre alcolizzata, i difficilissimi rapporti con il cinico padrino, furono stigmate di dolore che incisero profondamente l'anima dell'angelo Gram, fino a condurlo in un baratro di dipendenze e stravizi che gli bruciarono la giovinezza e la vita. Morì nella stanza numero 8 dell’albergo Joshua Tree all’interno del parco nazionale Joshua Tree in California), dopo un festino a base di alcol, sesso e droga, in uno di quei deliri orgiastici a cui, se sopravvivi, hai storie da raccontare agli amici per il resto della vita. Questo fatto incontrovertibile, però, è solo l’inizio di uno racconti più tramandati dell’epopea rock, così avvincente da sembrare uscito dalla penna di un grande romanziere. Qualche tempo prima, ai funerali dell'amico Clarence White, Gram esprime un desiderio e ne fa partecipe il road manager, ed amico fidato, Philip Kaufmann: "Se mi capitasse di morire, non voglio un funerale così. Portatemi al Johsua Tree, ubriacatevi in mio onore, date fuoco al mio cadavere e spargete le ceneri nel deserto". Kauffman promette che lo farà, più per blandire l’amico, che per reale convinzione. Gram, però, muore davvero e il suo padrino, assetato di denaro e spinto dal desiderio di sfruttare al meglio la morte del famoso figlioccio, impone che Parsons venga sepolto in Lousiana, dove pensa di fare soldi facili allestendo un mausoleo alla memoria. A questo punto, Kaufmann si ricorda della promessa fatta e decide di mantenerla. Facendosi aiutare da Michael Martin, l’assistente personale di Gram, con una serie di espedienti riesce a trafugare il corpo dell'amico e inseguito dalla polizia, allertata dal patrigno, a bordo di un finto carro funebre, conduce il feretro dell’amico, non senza difficoltà, fino al deserto di Joshua Tree. Dopo una sbronza notturna epocale, il corpo di Parsons viene dato alle fiamme, anche se solo parzialmente, rendendo così onore ai desiderata del chitarrista. Ecco: questa storia, dai contorni, peraltro, abbastanza confusi, ha implementato la suggestione del mito, trasformando la morte di Parsons in una delle storie più tramandate di sempre. Gram ha incarnato nel modo più epico possibile l'antico brocardo che recita "Chi muore giovane è amato dagli dei”: perfetto per una rockstar, perfetto per chi pensa che la vita vada bruciata subito, prima che la ruggine faccia il suo corso. La musica e la morte vanno spesso a braccetto, l’eternità e la fama imperitura sono talvolta figlie di un decesso prematuro o cruento. Nel caso di Gram, però, c'è anche un sogno di libertà, un sogno di capelli al vento, di cavalli sbrigliati nelle praterie del Paradiso. E' il rock che scrive la sua pagina più leggendaria: ceneri che si perdono nella silenziosa notte desertica come le note di un assolo di chitarra improvvisato dal destino. Ci sono musicisti pessimi che hanno trovato gloria in leggende come questa, senza avere avuto un briciolo di caratura artistica che ne giustificasse la grandezza per ciò che è stato fatto in vita (un esempio per tutti, non me ne vogliate, potrebbe essere Sid Vicious). La morte, per Parsons, è stata, invece, solo l’apice leggendario di una carriera straordinaria a prescindere. Perché sotto l’aura glamour degli eccessi e dei baccanali (chiedere all’amico Keith Richards per avere conferma), della bellezza angelica che faceva perdere la testa a stuoli di donne (chiedere a Emmylou Harris per avere conferma) e di quel decesso, prematuro e romanzato (per entrare nel club dei 27 gli mancava solo un mese e mezzo), il mito di Gram vive soprattutto nei suoi dischi, nella sua idea rivoluzionaria di country, nella sua visionaria ed eclettica creatività. "Cosmic American Music", amava definirla: la grande tradizione musicale del proprio paese, il country, resa universale, alla portata di tutti. Nei suoi due dischi solisti, GP (1973) e Grievious Angel (pubblicato postumo nel 1974) il chitarrista seguì coordinate assolutamente inedite nel panorama musicale del tempo, dando libero sfogo alla sua visione di country contaminato con il rock e il soul. Di più. Parsons ebbe una visione prematuramente indie, che influenzerà in seguito generazioni di musicisti, dagli Uncle Tupelo ai Jayhawks fino ai Wilco. Gram semplifica, scarnifica, elimina ogni retorica espressiva dalla propria idea di musica, che concepisce su un retroterra espressivo minimalista e per questo di almeno due decenni all'avanguardia. Lontano dal retrogusto dolciastro del suono nashvilliano, ma abile comunque a creare partiture delicatamente melodiche, attento ai fermenti rock della West Coast e a quelle sonorità black (gospel, soul) che facevano parte del suo retroterra sudista, Gram può essere considerato il papà di quello che oggi chiamiamo alternative country. Non è un caso, a tal proposito, che Parsons, fuori dalle due grandi band in cui militò, non ebbe mai quel successo di vendite, che arrivò solo postumo, quando gli appassionati si accorsero di quanto seminale fosse la sua idea di musica. Troppo innovativo per l’ortodossia di un genere che, in quegli anni, viveva esclusivamente nella dicotomia Nashville/Outlaw.