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REVIEWSLE RECENSIONI
30/10/2017
Curtis Harding
Face Your Fear
Come vorrei che Face Your Fear scorresse libero nelle cuffiette della ragazzina assorta nei suoi pensieri che sta aspettando l’autobus in questa giornata di autunno incipiente e che lei raccontasse ai suoi amici quanto è bello questo disco e via e via, di bocca in bocca, solo Curtis Harding nei pensieri.

È tornato. L’uomo che ostentava una sigaretta accesa sulla copertina di Soul Power, giusto tre anni fa, è di nuovo tra noi.

Sì, Curtis Harding è qui. Curtis Harding ti canta delle tue paure, Face Your Fear, il suo nuovo album, non a caso, e te le narra con il linguaggio del Soul.

Psichedelico nel profondo e con la Motown in testa, Harding questa volta mette in secondo piano le chitarre incazzose ma ne aumenta il wah wah, tale da renderlo così pastoso e materiale che lo puoi quasi mangiare; e fa fare il lavoro sporco ai fiati e alle tastiere, con il santino di Curtis Mayfield nel taschino interno della giacca, lato del cuore.

“Wendesday Morning Atonement” è l’inizio e chiarisce dove si andrà a parare, non bastasse quel mellotron sinuoso, che si incunea subdolo e maligno nel tuo condotto auditivo e sprigiona sensazioni che credevi perdute e che si espandono con l’arrivo della title track, bellissimo mid-tempo notturno e malinconico, ecco arrivare i fiati maestosi che un Dio negro ha preparato per il giorno del giudizio universale: “On And On” ci troverà a danzare sulla pista del Wigan Casino, ricostruito per l’occasione.

Non ci sono pause in Face Your Fear; “Go As You Are”, canzone simbolo del nuovo corso di Harding, meno soul imbastardito di rock e più groove, qui addirittura si rasenta l’instant classic, se solo avessimo meno cocainomani nei media mainstream. Non immaginate cosa arriverei a fare per riuscire ad ascoltare una canzone come questa, un maelstrom fatto di classicità con l’elasticità mentale di chi è proiettato nel futuro. Fenomenale.

Sarà anche merito di Danger Mouse che ha prodotto il disco, che ha messo quanto mai a fuoco l’arte di Harding, ma qui siamo davanti ad un lavoro che mi auguro sarà ricordato negli anni a venire.

Prendi “Till The End” e “Need Your Love” e ti vedi scaraventato indietro nel tempo, a ballare in un “Ready Steady Go”, immolato in un tunnel spazio temporale insieme a ragazzi in giacca a tre bottoni e ragazze con le minigonne e i capelli a caschetto.

E immaginare di venire scaraventati avanti di cinquant’anni e vedere che Prince non è morto ma duetta con Harding in “Dream Girl”.

Poi di nuovo indietro, con quella chitarra di “Welcome to My World” che ti ricorda “Space Oddity” e quel mellotron che pare catturato nell’etere dai campi di fragole beatlesiani.

Prosegui il tuo viaggio con “Ghost of You” e ti sorprendi di quel solo di synth e quel tappeto in sottofondo di mellotron dentro una Soul ballad, e non puoi fare a meno di pensare alla stagione del progressive, solo che qui Harding te la fa digerire senza pesantezze di stomaco.

Le reminiscenze appena accennate di Marvin Gaye in “Need My Baby” fanno da preludio a “As I Am” e cazzo, ma quell’organo in sottofondo, e quell’incedere di batteria e di basso… ma chi diavolo ha chiamato Manzarek e John Densmore?, no non può essere... Li senti quei fiati e quel ritornello ? Ricordati che sei dentro un brano Soul.

Come vorrei che Face Your Fear scorresse libero nelle cuffiette della ragazzina assorta nei suoi pensieri che sta aspettando l’autobus in questa giornata di autunno incipiente e che lei raccontasse ai suoi amici quanto è bello questo disco e via e via, di bocca in bocca, solo Curtis Harding nei pensieri.