Sponsorizzati da Billy Gibbons (esplicito lo stick sulla copertina del cd) e da Paul Nelson, chitarrista, produttore del disco e sodale di lunga data di Johnny Winter, gli Otis giungono al loro secondo full lenght accreditati come una delle migliori band emergenti del panorama southern rock.
Provenienti dal profondo sud degli States (sono originari di Sulphur Well, Kentuky), gli Otis (Boone Froggett, voce e chitarra solista, Steve Jewell, chitarra, John Seeley, basso, e Andrew Gilpin, batteria) si inseriscono a pieno titolo in quel filone che vede protagonisti band come i Whiskey Myers e i Blackberry Smoke, e che ha, dunque, come fonte di ispirazione storiche band quali Allman Brothers, The Black Crowes e Lynyrd Skynyrd.
La band è solidissima, il suono è super classico e l’offerta è arcinota: riff poderosi, tonnellate di blues, soul targato Muscle Shoals, un pizzico di country e uno di psichedelia. Niente di nuovo sul fronte sudista, insomma, ma un filotto di canzoni energiche, ben suonate e che tengono botta a numerosi ascolti.
Gagliardi, soprattutto, quando vanno di slide (il rock soul spedito e arioso dell’iniziale Change, il tiro incrociato dei bottle neck nella title track), i quattro ragazzoni del Sud sfoderano grinta da vendere nei pezzi più hard rock del lotto (Blind Hawg e Shake You, in cui si sente tutta la parentela con i Black Crowes) o quando innestano la quinta marcia nel boogie alla ZZ Top di Washed My Hand, ma sono altrettanto bravi nel momento in cui rallentano il passo, come in Turn To Stone, ballatone blues dai toni drammatici, o nella lunga, conclusiva e bellissima Let Your Love Shine Down, in cui il rock incontra il gospel in un numero di gran classe.
Premesso che questo è un disco consigliatissimo a tutti gli amanti del southern e del rock blues, bisogna anche aggiungere che la proposta presenta il consueto limite di scarsa originalità. Per quanto bravi e cazzuti, anche gli Otis, come molti altri compagni di avventura, non riescono a uscire dalle secche tradizionaliste di un suono che solo in pochi sanno rinnovare (Marcus King, Tedeschi Trucks Band). Peccato, perché il movimento cresce, i fans aumentano e band giovani come quella degli Otis dovrebbero non solo tener viva la tradizione ma aggiungere anche un quid di fantasia per poter guardare a un futuro di crescita.