Questa recensione è probabilmente un esercizio sterile e ridondante, dal momento che su Pornograffi degli Extreme si sono già spesi fiumi d’inchiostro. Tuttavia, è plausibile che una hit come "More Than Words", quinta traccia dell’album e vero e proprio tormentone datato 1990, abbia in qualche modo oscurato il resto di una scaletta, il cui livello di ispirazione e di songwriting è a dir poco strepitoso.
Questo, infatti, è un grandissimo disco rock (o hair metal, vedete voi), uno dei più importanti del decennio in cui è stato concepito e, valutato poi attraverso il filtro dei trentaquattro anni trascorsi dalla sua uscita, un’opera che, in senso assoluto, ha resistito alle angherie del tempo e che, consigliamo vivamente, non debba mancare nella discografia di ogni appassionato di genere.
Un album che ha un’unica grande pecca: essere stato pubblicato fuori tempo massimo, in un momento in cui il mondo della musica stava imboccando un’altra strada. Gli Extreme sono stati uno degli ultimi grandi gruppi emersi dalla scena hair metal alla fine degli anni Ottanta, una band dal talento smisurato, ambiziosa, in un certo qual modo sperimentale e dotata, vieppiù, di un clamoroso bagaglio tecnico, di cui forse non tutti si sono accorti. Ma in quegli anni, la scena stava per essere cannibalizzata dal grunge, un movimento che si collocava agli antipodi di quella musica che, nel decennio precedente, aveva fatto letteralmente sfracelli.
A un orecchio attento, però, non può sfuggire lo straordinario arsenale tecnico e la fantasiosa qualità di scrittura di una band che, tenetelo bene a mente, annoverava fra le sue fila quattro musicisti di livello superiore, il cui straordinario affiatamento trasformava gli Extreme in una vera e propria macchina da guerra.
Comandante supremo del progetto era Nuno Bettencourt, che fu, ed è tuttora, uno dei più grandi chitarristi rock in circolazione. E poco importa che non tutti lo sappiano: basta ascoltare cinque minuti di questo disco per rendersi conto del livello di questo autentico califfo della sei corde. Maestro di riff e tessitore di funambolici assolo, veloce, fantasioso e bizzarro, Bettencourt è un guitar hero che fa cose complicatissime con una scioltezza che lascia disarmati. L'efficacia del suo stile è letteralmente sbalorditiva, così come il suo senso del ritmo e la sua incredibile capacità di inventare grandi variazioni su ogni singolo riff.
Ciò, ovviamente, non significherebbe nulla se il resto della band non fosse all'altezza. Al basso e alla batteria ci sono rispettivamente Pat Badger e Paul Geary, ed entrambi si mettono al servizio delle canzoni, evitando ritmi troppo elaborati e un certo manierismo di cui soffrivano così tante band dell'epoca: sono diretti, muscolari ed essenziali, ma il loro dinamismo rende ancora più vibrante il groove delle canzoni. E poi, c’è Gary Cherone, una sorta di trasformista dell’ugola, il cui timbro potente ma estremamente duttile, si tiene lontano dagli inutili virtuosismi dei cantanti di scuola hair metal, per adattarsi, camaleontico, alle diverse, e talvolta antitetiche direzioni che prende la scaletta del disco.
Pornograffitti, una sorta di concept album che tratta il tema della ricerca dell'amore in una società decadente, eccessivamente politicizzata e schiavizzata dal sesso, rappresenta il momento più alto nella storia della band, ma anche l’inizio del suo declino, di quella citata morte annunciata per mano del grunge. Sorprendente, poi, è il fatto che i due maggiori successi dell'album sono state le canzoni acustiche "Hole Hearted" e la super hit "More Than Words", ottimi brani, certo, ma totalmente non rappresentativi del resto dell'album.
Nonostante il disco abbia ottenuto un triplo disco di platino, è cosa nota, infatti, che molti ignari acquirenti si aspettassero un album in linea con le due citate canzoni, e che, quindi, vinile alla mano, fossero scontenti di trovarsi di fronte alla restante scaletta, in cui abbondano duri riff rock e, in qualche episodio, anche molta sporcizia. La circostanza, poi, che l'album abbia venduto tre milioni di copie, non fu di alcuna consolazione per la band. Alla fine del tour per il loro disco d’esordio, infatti, gli Extreme, che avevano firmato con la A&M un contratto per cui la band doveva alla casa discografica tutte le spese per la registrazione e il successivo tour, erano indebitati fino al midollo. Non c'era altro modo di ripagare l’etichetta, se non quello di realizzare un nuovo album, che, ovviamente, portò la band a indebitarsi ulteriormente per migliaia di dollari. Quando Pornograffitti raggiunse l'apice delle vendite, gli Extreme avevano appena iniziato a pareggiare i conti con la A&M e a guadagnare in proprio, ma di lì a poco, la scena hair metal iniziò a decadere, oscurandone la fama e lasciandoli senza un soldo.
Ciò nonostante, Pornograffiti resta un disco clamorosamente bello, il cui suono muscolare e dinamico prende spesso traiettorie funky, creando un clima divertito e festaiolo, una bisboccia da litri di birra ghiacciata e shot di bourbon, che togliere dallo stereo è davvero un’impresa. Un disco, peraltro, che pur rimanendo fedele a certi canoni espressivi dell’epoca, risulta estremamente vario nel suo svolgimento tutt’altro che monocorde.
Due grandi hit, dicevamo: la prima "More Than Words", è una ballata d’amore per chitarra acustica, caratterizzata dalle sublimi armonie vocali di Cherone e Bettencourt, la seconda, "Hole Hearted", altra ballata dai sentori blues, che diventa il secondo maggior successo dell’album.
Il resto, però, è anche meglio. "Decadence Dance" è una lunga e vibrante apertura, trainata da uno dei tanti riff eccezionali che compongono l'album. Nuno Bettencourt riempie il fraseggio in ogni momento, inventando tocchi di straordinaria fantasia, che aggiungono al brano una tonnellata di groove. Una menzione a parte, meritano anche "He Man Woman Hater", che si apre con i fuochi d’artificio della chitarra di Nuno, qui alle prese con un’esecuzione magistrale de "Il Volo Del Calabrone", brano che ha terrorizzato il fior fiore dei chitarristi, per la folle velocità richiesta, "Get The Funky Out", scintillante sezione fiati, groove funky e metallico, variazioni ritmiche da capogiro e i soliti riff incredibili di Bettencourt, "When I First Kissed You", inusuale ballata in stile Frank Sinatra, riletta con gusto eighties, e "Song For Love", una power ballad stellare, un inno all’amor perduto, avvolta in un arrangiamento d’archi e sfiorata da vaghi intenti progressive.
Per quanto un po’ lungo, Pornograffiti mantiene desta l’attenzione dell’ascoltatore per tutto il suo intrigante svolgimento, tanto che risulta davvero ingiusto che una band di questa caratura, capace di pubblicare un tale capolavoro, sia finita troppo presto nel dimenticatoio, archiviata come una delle tante inutili band hair metal del periodo, e annichilita da quel suono, disperato e malinconico, che prende il nome di grunge e che fagociterà, in termini di successo e di vendite, i primi anni del decennio.